Giordania: card. Pizzaballa, “partecipazione dei cristiani al voto è importante”

Il prossimo 10 settembre la Giordania torna alle urne per eleggere i 130 membri del parlamento. Un appuntamento carico di significato anche alla luce del clima di tensione che si è aggravato con la guerra a Gaza, le cui ripercussioni si fanno sentire sul regno Hashemita sia sul piano politico interno che a livello di politica estera. Il patriarca latino di Gerusalemme ha inviato un messaggio ai fedeli cristiani del Paese per esortarli ad andare a votare.

Foto Calvarese/SIR

Un messaggio ai fedeli cristiani del Regno di Giordania per invitarli a votare alle prossime elezioni parlamentari che si terranno il prossimo 10 settembre. A scriverlo è il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, che ricorda come “sotto la guida del Re Abdallah II, la Giordania stia cercando di modernizzare la vita politica e di andare avanti nel rafforzamento della vita dei partiti, nonostante tutte le varie sfide che circondano il Regno. Questa visione – annota il patriarca, la cui giurisdizione pastorale si estende anche in Giordania – richiede sforzi concertati e la partecipazione di tutti per rendere questo processo un successo, che migliorerà i risultati e costruirà un futuro migliore”.

(Foto Patriarcato Latino)

Nel testo viene sottolineata l’enorme “importanza della partecipazione attiva dei cristiani giordani alla vita pubblica attraverso il voto in questa tornata di elezioni parlamentari. La Giordania – ricorda il card. Pizzaballa – sta compiendo passi coraggiosi verso la modernizzazione e le riforme”.

“L’onorevole storia dei cristiani giordani nella costruzione della loro società chiede loro di continuare a contribuire attivamente e a partecipare con determinazione al rafforzamento del ruolo delle istituzioni costituzionali e all’arricchimento del pluralismo armonioso nella società”.

Citando il passo evangelico in cui Gesù dice ai suoi discepoli, ‘Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo’, il patriarca ribadisce che “chi segue Cristo deve essere al servizio degli altri. La nostra missione è essere – dove Dio vuole che siamo – luce e sale per il bene comune, pieni di speranza viva e di positività che crea cambiamento per il bene dell’uomo. Preghiamo Dio – conclude il cardinale – affinché mantenga la Giordania forte e stabile sotto la guida del sovrano Abdallah II e della sua famiglia”. A marzo scorso il patriarca partecipò, durante il Ramadan, all’Iftar offerto dal Re Abdallah II, e in quella occasione non mancò di ringraziare, anche a nome dei cristiani di Gaza, il sovrano per gli aiuti umanitari inviati nella Striscia e per i continui sforzi “per la cura e la protezione dei luoghi santi cristiani e musulmani”.

(Foto ANSA/SIR)

Un paese in bilico. Il Paese arriva al voto in un clima di manifestazioni e proteste provocate anche dalla guerra in corso a Gaza tra Israele e Hamas. Il Regno hashemita si è sempre impegnato per la de-escalation regionale, condannando, da un lato, la condotta israeliana a Gaza e, dall’altro, cercando di fornire aiuti umanitari alla popolazione gazawa. Molte manifestazioni contro Israele sono state vietate o represse dal Governo applicando anche la controversa legge per la cybersicurezza che lascia ai giudici notevole discrezionalità nell’attuazione della norma. Sul piano economico la Giordania, nonostante le tensioni regionali, mostra qualche lieve cenno di ripresa non senza varie criticità: nel 2023 la crescita del Pil si era attestata al 2,6%. Nel 2024 le stime della Banca mondiale parlano di un +2,5%. La guerra a Gaza ha fatto sentire i suoi effetti soprattutto nel settore del turismo, da sempre un volano dell’economia giordana. Sebbene in calo dell’1,5%, la disoccupazione nel Regno hashemita, a fine 2023, ha fatto segnare un 21,4%, molto più alto rispetto al primo decennio degli anni 2000. La politica estera della Giordania – da sempre legata agli Usa (il Regno hashemita riceve ogni anno dagli Stati Uniti circa 1,5 miliardi dollari, ndr.) – risente molto dei rapporti con Israele. I due Paesi sono legati dal Trattato di Wadi Araba nel 1994 ma la salita al governo israeliano e le conseguenti politiche del premier Benjamin Netanyahu hanno raffreddato molto i rapporti. Ancora di più oggi con la presenza nel governo israeliano di estremisti di destra come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, invisi alla popolazione giordana che è in gran parte di origine palestinese. Non va dimenticato che all’interno del Paese hanno trovato rifugio migliaia di profughi iracheni e siriani. La preoccupazione per Gaza fa il paio con quella per la Cisgiordania, dove l’escalation di violenza avrebbe conseguenze importanti anche nel Regno hashemita, e con la confinante Siria con problemi di sicurezza interna alimentati anche dal traffico di captagon, noto anche come la droga dell’Isis, usata da Hamas per rendere i suoi militanti più aggressivi e resistenti in battaglia. Il parlamento giordano è formato da 130 membri, in gran parte indipendenti o di estrazione tribale. Secondo i dati ufficiali, l’affluenza alle ultime elezioni parlamentari del 2020 è stata del 30%, rispetto al 36% del 2016.

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