Venezuela. Mons. Bravo: “Occorre mostrare tutti gli atti elettorali. Difficile uscire da questa situazione senza trasparenza e verità”

“Mai come in questo momento, noi cristiani siamo chiamati a essere luce, a testimoniare il Regno di Dio, caratterizzato da giustizia e amore – spiega il vescovo di Petare, città satellite di Caracas -. In quest’ottica, ci stiamo raccomandando in tutti i modi che non sia dato spazio a sentimenti di vendetta, ad azioni violente. Abbiamo anticipato l’orario delle messe domenicali, che sono solo di mattina, anche per evitare che possano sovrapporsi ad altre situazioni”

(Foto mons. Bravo)

A una domenica vissuta come una “festa democratica”, ha fatto seguito una settimana di scoraggiamento e paura. È accaduto in tutto il Venezuela, ma particolarmente nei quartieri popolari un tempo feudi del chavismo, che oggi voltano le spalle al regime. I tanti, troppi poveri che non sono ancora fuggiti dal Paese, come invece hanno fatto 8 milioni e mezzo di connazionali, assistono alla repressione dei “colectivos” legati al presidente Nicolás Maduro, il quale, dopo essersi rifiutato di rendere disponibili gli atti elettorali delle presidenziali di domenica 28 luglio (tutti gli indizi e varie prove sono concordi nell’affermare che Maduro è stato eletto vincitore solo in seguito a una manipolazione dei dati elettorali), prosegue in una doppia azione di intimidazione e di persuasione che “tutto è tornato alla normalità”.

“Gli attacchi ai leader di base e ai coordinatori delle sezioni elettorali stanno passando ogni limite. Proseguono i raid dei ‘colectivos’, le sparizioni e le detenzioni arbitrarie”, confida al Sir una voce anonima, la quale aggiunge che in questi gruppi sono presenti anche stranieri, verosimilmente cubani. Voci, in qualche modo, confermate dai numeri che vengono forniti dall’ong Covavic, che in un primo rapporto sulle violazioni dei diritti umani commesse a partire da domenica scorsa, denunciano più di 1.200 arresti, 14 esecuzioni extragiudiziali, 168 detenzioni arbitrarie e 16 sparizioni forzate.

(Foto mons. Bravo)

Tutte situazioni che vengono vissute in modo particolarmente acuto in quello che è considerato il luogo più povero del Venezuela, almeno a livello urbano, e una delle più grandi “bidonville” del Sudamerica, se non la più grande: Petare, città satellite di Caracas. Questa porzione dell’hinterland della capitale è stata costituita come diocesi da un paio d’anni e ne è vescovo mons. Juan Carlos Bravo che, intervistato del Sir, racconta come si stano vivendo questi giorni drammatici in un luogo così particolare. Un colloquio interessante, perché ci rivela i sentimenti attuali delle classi popolari, dopo le contestate elezioni, ma anche perché proprio a Petare il vescovo sta cercando di coinvolgere il maggior numero di persone possibile, in un esercizio di sinodalità che è incentrato proprio sull’attualità.

Tra i poveri di Petare una grande speranza frustrata. “È vero – conferma mons. Bravo – il nostro è un territorio molto piccolo, di 177 chilometri quadrati, con una popolazione ufficiale di 1 milione e 200mila abitanti, ma in realtà sono probabilmente due milioni coloro che vivono qui. Una densità di oltre un abitante al metro quadrato, tra le maggiori al mondo. Fin dalla mia nomina, ho sperimentato una vicinanza fraterna alle persone di questi quartieri popolari, dove si vivono quattro problemi fondamentali: la scuola, con una mancanza molto forte di insegnanti e lezioni che si tengono solo due volte alla settimana; la mancanza di strutture sanitarie; la fortissima carenza di servizi essenziali, a partire da acqua e luce; l’insicurezza rispetto alla propria esistenza, non solo per la criminalità, ma proprio per questa mancanza di ciò che è necessario per vivere. Il popolo soffre e vive in un clima di grande scontentezza. Le elezioni avevano portato una speranza impressionante, tutti qui speravano in un cambiamento. E, già lunedì, sono iniziati spontaneamente i ‘cacerolazos’, con più di un milione in piazza in tutta la capitale. Anche a Petare ci sono state proteste, per fortuna qui non abbiamo avuto vittime”.

Ma anche qui non sono mancati momenti di repressione e minacce, anche con la presenza di persone straniere. In quartieri dove il 90% della popolazione vive in povertà, la grande maggioranza ha voltato le spalle a Maduro, e allo stesso chavismo. Racconta il vescovo: “In queste zone, venticinque anni fa, Hugo Chávez aveva un grande consenso. Va detto che, per molti, Chávez ha rappresentato una grande speranza, per una vita più giusta e umana, per un popolo protagonista. Oggi la frustrazione è grande, come vivere e recuperare la speranza è qualcosa di molto complicato.

Difficile uscire da questa situazione senza trasparenza e verità, il che significa, in concreto, mostrare tutti gli atti elettorali,

come ha chiesto anche la Conferenza episcopale”.

Ascolto sinodale sui fatti di questi giorni. Il vescovo, che lo scorso anno ha partecipato in Vaticano al Sinodo, ha ritenuto che, in questo difficile contesto, fosse suo compito aprire spazi di ascolto e discussione su quanto si sta vivendo, con uno stile sinodale. Già il martedì successivo alle elezioni, ha convocato prima un incontro in modalità virtuale con i sacerdoti, poi le consultazioni si sono allagate a religiose e religiosi e ai laici. “Mai come in questo momento, noi cristiani siamo chiamati a essere luce, a testimoniare il Regno di Dio, caratterizzato da giustizia e amore – spiega mons. Bravo -. In quest’ottica, ci stiamo raccomandando in tutti i modi che non sia dato spazio a sentimenti di vendetta, ad azioni violente. Abbiamo anticipato l’orario delle messe domenicali, che sono solo di mattina, anche per evitare che possano sovrapporsi ad altre situazioni”.

Molte di queste considerazioni sono il frutto dell’ascolto e della consultazione di questi giorni, rispetto alla quale è stato sempre redatto un attento resoconto. Da sacerdoti e laici sono arrivate considerazioni e proposte che mettono in luce la necessità che le comunità parrocchiali restino luoghi aperti e tutti, in cui si testimoniano la speranza, la riconciliazione e la pace, luoghi di incontro, fiducia, ascolto e fede. Perciò, è stato lanciato un appello a continuare ad accompagnare efficacemente le comunità e a mantenere la speranza in mezzo alle difficoltà. Tra le proposte concrete, quelle di offrire informazioni alla popolazione su come comportarsi nel caso di detenzioni arbitrarie, di allestire spazi di supporto psicologico, di incoraggiare i laici, soprattutto i giovani, a organizzare e partecipare ad azioni pacifiche di continuare ad accompagnare la comunità, soprattutto nei momenti di paura e di ansia, e di promuovere la riconciliazione e la fraternità, anche attraverso specifici gesti durante le celebrazioni.

Confida mons. Bravo: “Il mio sogno è che succeda come quando si gioca a carte in famiglia. Ognuno le tiene nascoste, ci possono essere momenti di tensione, ma poi, alla fine, tutte le carte vengono messe sul tavolo. È quello che dovrebbe accadere per i risultati elettorali”. Purtroppo, al momento, la realtà è un’altra, la gente è scoraggiata, si teme un’ulteriore ondata migratoria, torna a scarseggiare il cibo. “Ma il nostro compito – conclude – è quello di agire in modo evangelico, con lo stile di Gesù”.

*giornalista de “La vita del popolo”

Altri articoli in Mondo

Mondo