Di elezioni in Venezuela ne ha viste tante, e poche di trasparenti. Ma queste presidenziali, di cui si è dichiarato vincitore Nicolás Maduro, che da oltre undici anni governa il Paese con il pugno di ferro, dopo essere succeduto a Hugo Chávez, vanno al di là di qualsiasi immaginazione, soprattutto per quello che inizia ad apparire come un clamoroso stravolgimento della volontà popolare. Ignacio Ávalos Gutiérrez, sociologo dell’Università Centrale del Venezuela, è direttore dell’Osservatorio elettorale venezuelano, organizzazione indipendente nata nel 2012. È abituato a guardare i numeri, ed è quello che cerca di fare anche stavolta, anche se, interpellato dal Sir, avverte: “I numeri certi sono proprio quelli che mancano, c’è una grande confusione”.Lo scenario, soprattutto, resta di grande tensione, a Caracas e nelle maggiori città del Paese. Alla “partita dei numeri”, di affianca “la partita della piazza”. Le manifestazioni proseguono, e non sono mancati momenti di violenza e repressione, con un bilancio, provvisorio, di almeno 11 morti (5 a Caracas), decine di feriti e quasi ottocento arresti. Asserragliato nel palazzo di Miraflores, Maduro grida al golpe, e sbandiera il pronunciamento del Consiglio nazionale elettorale, che lo ha proclamato vincitore, con il 51,2% dei consensi. Peccato che non siano stati forniti dati relativi ai singoli Stati della Repubblica federale e che non ci sia lo straccio di un verbale a confermare il risultato. La leader dell’opposizione, inabilitata dal regime a correre come candidata presidenziale, Maria Corina Machado, sostiene di “avere in mano” oltre il 70% dei verbali delle sezioni elettorali dai quali risulterebbe che Nicolás Maduro è stato più che “doppiato” dal candidato del cartello unitario delle opposizioni, Edmundo González Urrutia (per la precisione, quest’ultimo avrebbe ricevuto oltre 6 milioni e 275 mila voti, mentre il presidente uscente 2 milioni e 759 mila).
I numeri “veri”. Chi ha ragione? Nella sostanza, Ávalos è convinto che le elezioni di domenica scorsa siano state ampiamente vinte da González, visto che tutti gli indizi portano in quella direzione. Ma, per la prima volta da diversi anni a questa parte, l’Osservatorio elettorale venezuelano non è in grado di produrre un rapporto pienamente attendibile sull’andamento delle elezioni, proprio per l’impossibilità di accedere ai dati ufficiali. “Il nostro Osservatorio ha potuto verificare il 10% degli atti delle sezioni elettorali, un numero troppo basso per potere elaborare un rapporto scientificamente valido. Però, la tendenza è chiara. Il rapporto tra i consensi di González e quelli di Maduro è di due a uno, spesso di tre a uno. Aggiungo che la medesima tendenza si registra nei sondaggi più seri, e che anche altri istituti simili al nostro hanno gli stessi numeri, e così pure l’opposizione. Maria Corina Machado, però, ha affermato di avere in mano il 70 per cento degli atti, ma non li ha ancora mostrati. È legittimo dubitare che li abbia davvero in mano, anche se certamente l’opposizione si è organizzata, dato che i propri rappresentanti, solitamente possono avere accesso i seggi e agli atti. Dal canto suo, il Consiglio nazionale elettorale ha affermato di non aver verificato oltre due milioni di voti. Ma ha proceduto ugualmente alla proclamazione”.
La “stranezze” dello scrutinio. In realtà, importanti rivelazioni sono state fatte, nei propri profili social, da Enrique Octavio Márquez Pérez, uno tra i politici più conosciuti dell’opposizione, che in passato ha rivestito il ruolo di vicepresidente del Consiglio nazionale elettorale, e conosce bene i meccanismi di trasferimento dei dati, anche per essere ingegnere elettronico. “Anche se non avevamo accesso ai dati – ha affermato – siamo riusciti a far entrare una collega molto coraggiosa nella sala dove affluisce la somma dei voti. Ci ha riferito che in quella sala non è mai arrivato neppure il primo bollettino elettorale. Solitamente i bollettini elettorali vengono diffusi in presenza di testimoni, ma in questo caso nessun bollettino con i dati ufficiali è uscito dalla sala del conteggio ufficiale del Consiglio nazionale elettorale”. Il “resto” lo aggiunge una fonte del Sir: “Márquez Pérez ha fornito l’argomentazione più importante finora, e tutti gli atti sono già stati resi noti dall’opposizione grazie alla tecnologia di cui dispone. Questo ha fatto sì che il centro Carter (una delle poche organizzazioni presenti con i propri osservatori, grazie a uno storico ruolo di ‘ponte’ nelle trattative tra Maduro e la comunità internazionale, ndr) abbia ritirato il suo, cancellandolo dal web e uscendo dal Paese. Anche la Colombia ha chiesto a Maduro di rendere consultabili i verbali e di farli verificare da un organismo internazionale, diverso dal Governo”.
Una campagna “viziata” fin dall’inizio. Ávalos prosegue nella sua analisi, spiegando che “le elezioni non si svolgono in un in un solo giorno, si tratta di un processo lungo. In questo caso, il Governo ha messo in atto una serie di irregolarità fin dal primo momento. Si è deciso di votare in luglio, e non in dicembre, è stata scelta la data del compleanno di Hugo Chavez. È stata scoraggiata la partecipazione, e milioni di cittadini non si sono registrati come elettori, soprattutto giovani. Degli otto milioni di venezuelani che si trovano all’estero, almeno quattro avrebbero dovuto votare, invece sono stati pochissimi. I mezzi di comunicazione hanno dato spazio soltanto a Maduro, è stato fatto conoscere solo il punto di vista di Maduro. Quasi tutti gli osservatori internazionali non sono stati ammessi”.
Il popolo in piazza. Ciò nonostante, l’opposizione è giunta all’appuntamento elettorale organizzata e forte di una base popolare. E arriviamo, così, a questi giorni, carichi di tensione. “Ma attendiamo cosa diranno gli esperti dell’Onu, così come gli osservatori del centro Carter”. Il sociologo “abbandona”, per un momento, i suoi numeri, per esprimere tutta la sua preoccupazione: “Qui, da troppi anni, non esiste Stato di diritto, non esiste divisione dei poteri. Esiste una povertà integrale, multidimensionale, che raggiunge il 75% delle persone. C’è un grande desiderio di cambiamento, e anch’io speravo che arrivasse con queste elezioni”. Chissà, dunque, se ci saranno mai numeri certi. Di sicuro, negli ultimi due giorni si sono riempite strade e piazze, nonostante dall’opposizione non fosse arrivata una convocazione ufficiale. Machado e González si sono fatti vedere solo ieri, con un rapido giro in camion. Conclude la nostra fonte anonima: “Il Governo ha giocato a ‘la va o la spacca’ e i poveri sono scesi in piazza in tutto il Paese e hanno distrutto le statue di Chávez. Le stesse persone che erano chaviste. Come si sapeva fin dall’inizio, si è trattato di una frode e di un autogol con milioni di voti rubati”. Il problema ora, è come uscirne, senza ripetere la “rivoluzione mancata” del 2019. In un contesto geopolitico che, nel frattempo, si è fatto ancora più complicato.
*giornalista de “La vita del popolo”