Centinaia di bambine, ragazze e donne (dai 9 ai 60 anni) sono state violentate a Khartoum, capitale del Sudan, nell’ambito del conflitto che dura da oltre un anno tra le Forze armate sudanesi (Saf) e le Forze di supporto rapido (Rsf). A commettere le violenze sessuali, anche di gruppo, sono stati soprattutto i miliziani delle Rsf, che controllano la zona. Molte donne sono state rapite e costrette a matrimoni forzati alla schiavitù sessuale e domestica. Lo denuncia un report di Human Rights Watch (Hrw), che ha raccolto le testimonianze delle vittime e degli operatori sanitari che le hanno curate. Gli stessi operatori sanitari subiscono attacchi e violenze da entrambi gli eserciti, mentre le forze governative Saf impediscono l’arrivo degli aiuti umanitari alla popolazione, oltre 24 milioni di persone bisognose di cibo, cure e beni essenziali. Più della metà sono bambini.
“La violenza sessuale legata ai conflitti è un crimine di guerra”, afferma il report di Hrw, come pure “la volontà di bloccare o porre restrizioni arbitrarie agli aiuti umanitari”, e “attaccare intenzionalmente le operazioni di assistenza umanitaria, compreso il personale e i veicoli”. Tutti questi crimini sono perseguibili dalla Corte penale internazionale (Icc). Per realizzare il report, di 88 pagine, l’organizzazione per i diritti umani ha intervistato 42 operatori sanitari, sociali, assistenti sociali, avvocati, tra settembre 2023 e febbraio 2024. Una ventina ha prestato cure mediche o psicosociali alle sopravvissute: riferiscono di aver curato 262 donne di età compresa tra i 9 e i 60 anni dall’inizio del conflitto nell’aprile 2023 fino a febbraio 2024. Almeno 4 donne sono morte in seguito alle violenze subite. Tutte manifestano sintomi di stress post-traumatico e depressione, compresi pensieri suicidi, ansia, paura e insonnia. Molte sono rimaste incinte: “Se la mia famiglia scopre il mio stato mi ucciderà”, ha confidato una paziente ad uno psichiatra.
Alcune sopravvissute hanno detto di essere state violentate contemporaneamente da cinque uomini delle Rsf. A volte perfino davanti ai familiari. I miliziani rapiscono le donne e le confinano nelle loro case a Khartoum, Bahri, Omdurman, costringendole a continui abusi. Alle forze governative (Saf) sono stati attribuiti meno casi ma sono stati riferiti episodi di stupri su uomini e ragazzi, anche in carcere.
Le Saf hanno invece “volontariamente ristretto le forniture umanitarie, comprese quelle mediche, e l’accesso degli operatori umanitari, imponendo un blocco de facto sulle forniture mediche in entrata nelle zone di Khartoum controllate dalle Rsf almeno dall’ottobre 2023”. La capitale è infatti in mano alle Rsf e le organizzazioni umanitarie hanno spostato le loro attività a Port Sudan.
Human Rights Watch chiede all’Unione Africana e alle Nazioni Unite di “lavorare insieme per dispiegare una nuova missione che protegga i civili in Sudan, prevenendo la violenza sessuale e di genere, sostenendo la consegna di beni e servizi a tutti i sopravvissuti, documentando le violenze sessuali legate al conflitto”. Ai Paesi donatori si chiede di “imporre sanzioni mirate” su chi ordina le violenze e gli attacchi agli operatori sanitari.