“Un atto di violenza indicibile e abominevole” che suscita “dolore e indignazione” in tutti “coloro che considerano sacra la vita”. Non usano mezzi termini i vescovi che compongono l’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (tra questi il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa e il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton), per condannare l’attacco, sabato scorso, al villaggio druso di Majdal Shams, nel Golan, a nord di Israele. Dodici i bambini rimasti uccisi da un razzo, con 53 kg. di esplosivo, che è caduto su un parco giochi. Si tratta del più alto numero di vittime civili israeliane dal 7 ottobre scorso. Il più piccolo aveva 10 anni, si chiamava Milad Muadad Al-Sha’ar, gli altri di poco più grandi. Ieri nel villaggio si sono svolti i funerali. In migliaia hanno accompagnato le dodici bare coperte da teli bianchi, come da usanza drusa. L’esercito israeliano ha subito accusato Hezbollah di aver lanciato il razzo, un Falaq-1, secondo i rilievi fatti immediatamente dopo la strage. Hezbollah, dal canto suo, nega ogni coinvolgimento. Il rischio di allargamento del conflitto cresce sempre di più con la diplomazia impegnata a trovare una soluzione al conflitto a Gaza, da cui dipendono direttamente gli scontri, in atto da nove mesi, tra Hezbollah libanesi e esercito israeliano.
“Vite innocenti spezzate”. Nel comunicato gli Ordinari cattolici parlano di “vite innocenti, piene di speranze e sogni, spezzate in un atto di violenza inenarrabile. Estendiamo le nostre più sentite condoglianze alle famiglie e ai cari delle vittime e all’intera comunità drusa in Terra Santa. La perdita di questi bambini è una tragedia indicibile, che ha lasciato un profondo impatto su tutti noi”.
“Le parole non possono esprimere appieno il dolore e l’indignazione che proviamo di fronte a un atto di violenza così abominevole”.
Per onorare la memoria di queste giovani vittime, i presuli invitano “a rinnovare il nostro impegno per la pace e rifiutando ogni forma di violenza. Il ciclo di violenza deve finire. Esortiamo tutte le parti a cercare comprensione e rispetto reciproco, perché il futuro dei nostri bambini e delle nostre comunità dipende da questo. Basta con questa violenza, odio e disprezzo!”. Da qui l’appello: “Imploriamo sinceramente tutte le parti ad abbandonare la strada del conflitto e delle armi e a cercare comprensione e rispetto reciproco. Il futuro dei bambini e il benessere delle nostre comunità dipendono dalla nostra capacità di trascendere l’odio e di abbracciare i principi di compassione e coesistenza.
Nulla sarà risolto dal male delle armi e della guerra!
Non lasciamoci vincere dal male, ma vinciamo il male con il bene! Possa il Signore donare conforto e forza alle famiglie delle vittime e possano i loro ricordi ricordarci la preziosità della vita e l’urgente bisogno di pace”.
I Drusi. La comunità drusa (araba non palestinese) in Israele è composta da circa 150mila persone che vivono in oltre 20 villaggi nelle alture del Golan e Majdal Shams è uno dei più importanti. I drusi costituiscono una comunità culturale, sociale e religiosa separata. La religione drusa, monoteista, ha una derivazione musulmana ma incorpora anche elementi dell’ebraismo e del cristianesimo, con influenze dalla filosofia greca e dall’induismo. È una religione chiusa agli estranei, quindi solo chi è figlio di drusi può essere considerato parte di questa fede. Un aspetto conosciuto della sua filosofia è il concetto di ‘taqiyya’ che invita i suoi aderenti alla fedeltà al Governo del paese in cui risiedono. I drusi combatterono al fianco di Israele nella guerra del 1948 e in quelle successive. Sono l’unico gruppo arabo arruolato nelle Forze di difesa israeliane e partecipano alla sicurezza dei confini e al corpo diplomatico di Israele.