“Mi trovo a Kimbulu, nel Nord Kivu: sono arrivato qui da alcune settimane. La situazione nella provincia è super bollente ma nonostante tutto si vive. Il mio desiderio era quello di tornare in Congo per condividere ogni cosa con questa comunità che amo. Anche la paura”. A parlare al telefono da uno dei villaggi del massacrato Est della Repubblica Democratica del Congo, è don Giovanni Piumatti, fidei donum di 86 anni, per una vita missionario nel Kivu. Il cessate-il-fuoco faticosamente raggiunto tra milizie armate ed esercito regolare regge da due settimane ma è destinato a finire.
La storia di Soki. Kimbulu, in ogni caso è un villaggio relativamente tranquillo, situato tra Butembo e Lubero, dove è presente l’esercito congolese. “In questi giorni è venuta a stare da noi per una settimana Soki, una mamma con tre bambini che vive e lavora come dentista a Kirumba, caduto nelle mani dell’M23. La ospitiamo perché aveva bisogno di riposo”. Per arrivare nel villaggio, Soki, che lavora con le suore della Compagnia di Maria, ha dovuto attraversare diverse barriere e numerosi controlli armati: passare da un villaggio occupato ad uno libero non è immediato. Essere invasi dall’M23, affiliato al Ruanda, spiega don Giovanni, non significa necessariamente soccombere, tuttavia la convivenza è difficile e crea disagio e paura. “Quando i ribelli entrano nei villaggi in un primo momento combattono contro l’esercito ma poi si insediano cercando il consenso. È tutta una questione di equilibri interni”.
Tregua possibile. Contro ogni aspettativa, nel Kivu la tregua sembra funzionare: “A differenza di altre zone di guerra, come Gaza, qui è stato più semplice imporre un cessate-il-fuoco”, dice il missionario. “C’erano ben quattro forze in disaccordo ma sono riuscite a realizzare una tregua: segno che se si vuole si può fare”.
Atrocità disumane. Tuttavia una tregua di due settimane “non è sufficiente e anche durante questo periodo si sono verificate violenze, soprattutto nel territorio di Masisi, attorno a Goma”, ha spiegato Abdoulaye Barry, a capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i rifugiati del Kivu. Le atrocità compiute dall’Adf e dall’M23 sono disumane e il popolo congolese resta ampiamente a rischio, sfollato e minacciato di continuo. I guerriglieri uccidono per accaparrarsi pezzi di territorio e anche per rubare il raccolto agli agricoltori.
I ritmi della gente. “Sono molto contento di essere presente in questo luogo proprio adesso, perché non bastava la mia solidarietà da lontano, era necessaria la presenza, una concreta vicinanza”, dice don Piumatti. E aggiunge: “Se si scappa da soli o si scappa con un amico, con un fratello, la cosa cambia di molto”. Da quando è arrivato a Kimbuklu il missionario ha contribuito alla ricostruzione di un ponte che era crollato e a ripristinare la cisterna d’acqua: “Mi sveglio la mattina e vivo con loro la giornata, ai ritmi della gente, tutto assieme a loro. Guardo come si comportano, imparo da loro: sanno vivere e gioire persino in una situazione di guerra e di pericolo come questa”.
(*) redazione Popoli e Missione
(Tutte le foto pubblicate sono scattate nel villaggio di Kimbulu da don Piumatti)