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Elezioni nel Regno Unito. Trionfo dei laburisti e svolta “storica”. Starmer: “Inizia il cambiamento”

I britannici hanno assegnato la vittoria al Labour e punito i Tories. Un Paese da rimettere in sesto dopo i danni provocati dalla Brexit. Ai laburisti 411 seggi su 650 pur con un terzo dei voti. Terzo partito il Reform di Farage (solo 4 seggi). Crollano i nazionalisti scozzesi. Il premier in pectore: "Abbiamo un partito pronto a servire il Paese e restituire la Gran Bretagna ai suoi cittadini lavoratori". Stefan Enchelmaier (Un. Oxford): "Se i Tories continueranno ad essere dominati da questa destra di fanatici antiBrexit il partito diventerà una setta"

(Foto AFP/SIR)

“Il partito laburista ha vinto queste elezioni. I cittadini britannici ci hanno dato un verdetto che ci fa riflettere e mi assumo la piena responsabilità per questa sconfitta”. È stato il premier uscente, il conservatore Rishi Sunak, alle 4.30 del mattino – circa un’ora prima che il leader laburista Keir Starmer raggiungesse la maggioranza di 326 seggi al parlamento di Westminster – ad aprire la porta di Downing street al suo rivale. È soltanto la settima volta, nella storia del Regno Unito, che il potere tocca a un leader laburista, mentre in almeno altre venti elezioni le chiavi di Westminster sono andate ai Tories, il partito che si ritrova a fare i conti con una catastrofe.

La débâcle Tory. I conservatori perdono infatti almeno 248 seggi e, se non sapranno rispostarsi al centro, con un leader moderato, rischiano l’estinzione. O anche di essere riassorbiti dal partito “Reform”, dell’euroscettico Nigel Farage, che entra per la prima volta in parlamento, accompagnato da 3 colleghi. Hanno fatto bene i liberaldemocratici, con almeno 71 seggi, anche se non hanno sostituito i conservatori come principale partito di opposizione. A pezzi sono usciti da queste elezioni anche i nazionalisti scozzesi di Snp (Scottish national party) che hanno perso almeno 38 seggi, e riconsegnato ai laburisti la regione a nord del vallo di Adriano, da sempre terra laburista. Significativa la bassa affluenza alle urne, il 60%, secondo la Bbc, la seconda più bassa, nella storia del Regno Unito, dal 1885.

Una vittoria storica. Per la Gran Bretagna si tratta di una svolta storica perché il partito laburista – che conquista 411 seggi su 650 – potrebbe trasformare davvero questo Paese dove il 50% più povero della popolazione possiede meno del 5% della ricchezza e l’1% più ricco il 23% e dove in un anno, tra il 2021 e il 2022, la richiesta di pacchi alle banche del cibo è aumentata del 37%. E dove, dopo 14 anni di potere conservatore i pensionati sono più ricchi delle famiglie con figli piccoli.

Il discorso della vittoria. “Ce l’abbiamo fatta! Dopo quattro anni e mezzo di duro lavoro per cambiare il partito laburista, adesso abbiamo finalmente una formazione pronta a servire il nostro Paese e a restituire la Gran Bretagna ai suoi cittadini lavoratori”. “Oggi inizia il cambiamento”. Questo è stato il discorso della vittoria del nuovo premier, Keir Starmer, un avvocato prestato alla politica soltanto nove anni fa, anche se i genitori, un meccanico e un’infermiera, laburisti doc, hanno scelto il suo nome in omaggio a Keir Hardie, il primo leader laburista parlamentare britannico. A Starmer toccherà di gestire un debito pubblico di 2.700 miliardi di sterline, 3.185 miliardi di euro, che è il 98,8% del reddito nazionale e nessuno sa dove troverà i soldi per riformare sanità, trasporti e istruzione, come ha promesso, visto che si è impegnato a non aumentare le tasse più importanti, reddito, Iva e “National Insurance”, i contributi per malattia e pensione.

Voti e seggi. Il sistema elettorale inglese (uninominale) premia chi vince nei singoli collegi. Ai tanti seggi conquistati dal Labour, due terzi del parlamento, non corrispondono altrettanti voti percentuali. Guardando ai voti, i laburisti arrivano al 33,8%; i Tories sono al 23,7% (perdendo quadi il 20% dei consensi); il 14,3% delle preferenze va al Reform di Farage (prende solo 4 seggi); i liberali arrivano al 12,2%; quindi i verdi e altre formazioni minori.

Il ruolo di Brexit. Quale ruolo ha giocato Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, consumatasi con il voto a favore del referendum del 2016? “Il tema è stato evitato dai due partiti maggiori e nessun leader politico, con l’eccezione del liberaldemocratico Ed Davey, parla di rientrare in Europa per paura di perdere voti e perché le condizioni economiche sarebbero troppo svantaggiose”, spiega Stefan Enchelmaier, esperto di costituzione britannica all’università di Oxford, “Tuttavia la caduta dei Tories di oggi è radicata nell’abbandono della Ue perché il partito, con Boris Johnson, è stato conquistato da una minoranza di fanatici che, sotto la guida di Liz Truss, hanno distrutto l’economia, provocando un’impennata nei mutui di milioni di famiglie, che si sono ritrovate impoverite. Spero che dopo queste elezioni i membri del partito, anche se sono anziani e anti immigrazione, capiscano che occorre un leader moderato, di centro, come il Cancelliere dello Scacchiere, il ministro delle finanze e del tesoro uscente, Jeremy Hunt. Se, invece, i Tories continueranno ad essere dominati da questa destra di fanatici antiBrexit il partito diventerà una setta, un culto e verrà assorbito da Reform, la formazione di Nigel Farage”.

Il caso-Scozia. L’ultimo dato va alla Scozia. La richiesta per l’indipendenza da Londra rimane assestata sul 50% della popolazione, anche se, con la disfatta del partito nazionalista Scottish National Party, Snp rischia di diventare un movimento più culturale che politico, un ideale di lungo periodo, considerato anche quanto l’economia di Edimburgo dipende dal Regno Unito. Anche qui il fattore Brexit gioca un ruolo importante perché una Scozia indipendente, al di fuori dell’Unione europea, ha scarsa probabilità di sopravvivenza.

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