Kenya: Generazione Z e classe media in rivolta contro la finanziaria. Marangi: “Movimento non violento”

Nella capitale del Kenya esplode la protesta contro una Legge finanziaria che rischia di mettere alla fame la popolazione. Dal movimento studentesco e non violento si è staccata una frangia che ha assaltato il parlamento. Nuova manifestazione annunciata per il 28 giugno. Il missionario francescano fra Ettore Marangi spiega da dove nasce il malessere diffuso e delinea i prossimi possibili scenari

Nairobi, fiamme in città (Foto ANSA/SIR)

Non si ferma in Kenya il movimento di protesta partito dalle università e arrivato fin dentro il Parlamento keniano, ieri, per dire no alla legge Finanziaria 2024, al vaglio finale del presidente William Ruto. Dopo la repressione di polizia (Ruto in serata ha annunciato la linea dura contro “violenza e anarchia”) i morti in strada sono saliti a quindici. L’assalto al Senato da parte di frange estreme del movimento (che resta tuttavia in maggioranza pacifico), è costato la vita ai più facinorosi. Stamani il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è detto “profondamente preoccupato” per la violenza “collegata alle proteste e alle manifestazioni di strada”.

(Foto E.M.)

La notizia di morti e feriti, “inclusi giornalisti e personale medico” è in cima alle priorità di Guterres, che invita il governo “a rispettare il diritto di manifestare pacificamente”.
“Quel che accade in Kenya è un fenomeno di una portata storica enorme: una rivolta popolare vastissima (nella foto) partita dalla classe media, fatta principalmente di giovani universitari arrabbiati e contrari alla Legge finanziaria insostenibile per il ceto medio e per i più poveri”. A parlare con Popoli e Missione e Sir delle rivolte di Nairobi e di altre città, come Mombasa e Nyeri, è fra Ettore Marangi, missionario francescano da anni nello slum poverissimo di Deep Sea. “Non si tratta di una protesta del popolo delle baraccopoli – precisa – facilmente strumentalizzato dal potere”. Ma in strada scendono “i giovani più istruiti che hanno preparato queste rivolte con tempo e meticolosità”.
Al momento dello scoppio della protesta (iniziata una settimana fa), fra’ Ettore si trovava in Italia per dei controlli medici ed è ora in attesa di poter ripartire per il Kenya. La repressione comunque non spaventa i ragazzi che in migliaia si stanno dando appuntamento per il 28 giugno al Delta Center Building di Nairobi, il quartier generale delle banche.

Lo slogan in questo caso è “non siamo schiavi, power to the people”.

Questo fenomeno, dice il missionario, riguarda milioni di persone che usano molto bene le nuove tecnologie e i social media, che sanno di cosa parlano: “Nonostante una deriva di manifestanti che hanno assaltato il Parlamento ieri, il movimento degli studenti è di base non violento”. All’origine di tutto “c’è la finanziaria al vaglio del presidente William Ruto per la firma e appena approvata dal Parlamento, che ha preteso il rialzo del 16% dell’Iva sul pane e su altri beni di prima necessità, come gli assorbenti. Addirittura si sono volute tassare le cure per il cancro”. Aumenti ingiustificati e insostenibili almeno per il 15% della popolazione che vive con meno di due dollari al giorno, come accertano le statistiche. Tutti questi elementi hanno fatto “esplodere il dissenso e scendere in piazza per la prima volta i ventenni, quelli che stanno finendo l’università, la generazione Z del Kenya”, conferma il missionario. Sono giovani che usano i social network: “Il loro movimento è raccontato attraverso Tik Tok e Twitter, spesso si tratta anche degli stessi figli della classe dirigente keniana”.

Fra Ettore conosce personalmente una decina di questi ragazzi oggi dietro le barricate.

(Foto E.M.)

Riceve costantemente messaggi da loro: “L’ultima notizia circolata sui canali social che ricevo riguarda una manifestazione in programma per dopodomani, 28 giugno, contro ‘il governo oppressivo e le banche’”. Tuttavia, “non possono pensare di cambiare il destino del Kenya in 24 ore, l’ho detto a chi mi scrive. Sono in contatto con molti di loro: gli stessi ragazzi che invitavo in baraccopoli a parlare di giustizia e pace e di temi sociali”.
Essendo un movimento vastissimo “non si può solo pretendere di reprimerlo o di ignorarlo”, afferma il missionario. “Da questo momento in poi il livello della discussione politica sarà più elevato, deve salire. Perché da qui non si torna più indietro”, è l’opinione di Marangi. Secondo il missionario c’è una forte somiglianza tra questo movimento (peraltro appoggiato dalle chiese cristiane evangeliche) e quello del Senegal che ha visto trionfare alle elezioni il candidato dell’opposizione Faye. Adesso è necessario “abbandonare le forme più violente e continuare con un ritmo diverso: anche le chiese hanno iniziato ad appoggiarli, la cattedrale anglicana si è aperta per loro”.

*redazione Popoli e Missione

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