E ora si guarda al prossimo futuro. Da una parte, l’Iran che ha perso in un incidente di elicottero, il Presidente della Repubblica islamica Ebrahim Raisi e sta cercando ora di capire come dare continuità ai vertici del governo e dall’altra, il resto del mondo alle prese nella Regione con una delle crisi più gravi degli ultimi anni. E la tensione è altissima. L’agenzia di stampa iraniana Mehr ha fatto sapere che i funerali del presidente Raisi si terranno domani, martedì 21 maggio, a Tabriz mentre il leader supremo dell’Iran Khamenei ha nominato il primo vicepresidente Mohammad Mokhber presidente ad interim. Khamenei ha anche annunciato cinque giorni di lutto. Ebrahim Raisi, 63 anni, aveva vinto le elezioni presidenziali in Iran nel 2021, con un voto che ha registrato l’affluenza più bassa nella storia della Repubblica islamica. Ultraconservatore e intransigente, era considerato un protetto della Guida suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, e alcuni analisti avevano addirittura ipotizzato che potesse essere candidato alla sua successione. Per capire quali scenari si aprono ora con la sua morte sia all’interno del Paese che nel più ampio scacchiere della Regione, il Sir ha raggiunto Farian Sabahi, giornalista e scrittrice di origine iraniana, nonché ricercatrice senior in Storia contemporanea presso l’Università dell’Insubria.
Quali scenari si possono aprire ora all’interno del Paese?
La scomparsa di Raisi mette in difficoltà le autorità di Teheran perché, oltre a ricoprire la posizione di Presidente della Repubblica islamica, era anche il delfino dell’ayatollah Ali Khamenei, e quindi tra i favoriti alla sua successione. Ora, di fatto, il favorito per la successione del leader supremo è il figlio di Khamenei, Mojtaba. Ma sia la leadership iraniana sia la popolazione non vedono di buon occhio una repubblica islamica ‘ereditaria’, che avrebbe una legittimità minore rispetto a un sistema politico con ai vertici uomini dotti in ambito teologico. Ormai i moderati sono stati messi a margine, tant’è che all’ex presidente moderato Hassan Rohani non è stato permesso candidarsi alle elezioni di inizio marzo per l’assemblea degli esperti, ovvero per quell’organo che eleggerà il prossimo leader supremo.
Quindi, quali prospettive si intravedono?
La partita si gioca esclusivamente tra i ranghi dei conservatori e degli ultraconservatori. In ogni caso, per ora a decidere è sempre e soltanto il leader supremo Ali Khamenei: è lui che ha l’ultima parola su tutto, compresi la politica estera e il nucleare. Potrebbe aprirsi uno spiraglio se riprendono le proteste, ma la repressione di regime ha spaventato molte famiglie in Iran. L’arma migliore pare essere l’astensione dalle urne, come già fatto in passato. Ed è già stato annunciato che le elezioni presidenziali in Iran sono programmate per il 28 giugno.
Quali conseguenze invece può avere questo incidente nel quadrante regionale e internazionale?
Sul fronte internazionale, alcuni giorni fa erano ripresi i colloqui bilaterali tra Teheran e Washington, con la mediazione dell’Oman. In questa fase, ci si aspetta una maggiore attenzione della leadership iraniana per le questioni interne rispetto a quelle internazionali. Ma non si prevede un cambio di rotta per quanto riguarda l’appoggio a Hamas, agli Hezbollah libanese, agli Huthi yemeniti e ai miliziani sciiti in Iraq. L’asse della resistenza non crollerà in seguito alla morte del Presidente Raisi, come d’altronde non era crollato con l’assassinio del generale Solemaini a gennaio 2020.