Due fenomeni opposti, ma entrambi figli del cambiamento climatico in atto, accentuato in questi mesi dalla corrente del “Niño”, combinato con una colpevole negligenza umana, soprattutto della politica. Il Brasile è alle prese con situazioni meteorologiche estreme, e non è la prima volta che accade. All’estremo sud, lo Stato del Rio Grande do Sul è praticamente sommerso dall’acqua, che è tornata a cadere anche nell’ultimo fine settimana. Le cifre sono impressionanti: 146 morti accertati, 806 feriti, 2 milioni e 100 mila persone coinvolte nel disastro, 620 mila evacuate e 82.200 ospitate in centri di prima accoglienza. Negli ultimi giorni, anche la capitale, Porto Alegre, è stata sopraffatta dall’ondata d’acqua e fango portata dai fiumi. Migliaia di chilometri più a nord, la foresta amazzonica vive da mesi una siccità senza precedenti, e si sta registrando il record d’incendi, ben 17.182 nei primi quattro mesi di quest’anno, secondo l’attendibile Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe). Il numero più alto a partire dal 2003.
L’acqua ha travolto tutto, invaso città e vallate. Per molti anni attivo nella pastorale della terra, missionario e biblista, Sandro Gallazzi, ben rappresenta l’unione ideale tra i due estremi geografici del Brasile. Dopo aver vissuto a lungo in Amazzonia, vive attualmente proprio nel cuore del Rio Grande do Sul, a Bento Gonçalves, area di grande emigrazione italiana. E racconta al Sir quanto ha visto e sta vedendo in questi giorni. “Da un lato – dice – è bello vedere la generosità dei volontari che arrivano da tutto il Brasile, e delle comunità, c’è una grande solidarietà. Ma siamo di fronte a una tragedia ambientale mai vista. Nella grande piena del 1941 l’acqua del fiume Guaíba, a Porto Alegre, era salita a 4 metri e 70 sopra il suo livello, stavolta siamo arrivati a 5 metri e 30”.
Come si è arrivati a questo? “Ha piovuto quasi ininterrottamente dal 30 aprile al 6 maggio, e poi ancora negli ultimi giorni – racconta il missionario -, in alcune zone sono caduti 500 millimetri di pioggia. Anzitutto sono state colpite le zone montuose interne, compresa la città dove vivo io, l’acqua ha travolto tutto, le case, i vigneti, quelli creati dagli emigranti italiani… è scesa a velocità inaudita verso valle. Cittadine intere, come Santa Teresa, Roca Sales, sono in pratica sparite. L’acqua è finita nei quattro principali corsi d’acqua, e poi nel più grande, il Guaíba, e ha invaso Porto Alegre. Va detto che in questi anni i fiumi non sono mai stati dragati, non sono stati tenuti puliti. Oggi Porto Alegre è isolata, l’aeroporto non sarà riaperto prima della fine di maggio. Quanto accaduto dipende anche dal fatto che molte prescrizioni ambientali sono state alleggerite, per favorire i gruppi di potere dell’agrobusiness. La piena ha portato giù pezzi interi di montagna, ettari di vigneti sono stati sradicati e portati giù. Qui il vino è anche fattore di ricchezza e di turismo. Ma la situazione peggiore è nelle vallate, totalmente sommerse. Non sarà facile riprendersi”.
Esplode uno squilibrio denunciato già decenni fa. Solo fatalità o colpe dell’uomo? Gallazzi non ha dubbi: “C’è poco da dire, non è solo una fatalità. Questa è la terza piena in pochi mesi, dopo settembre e quella molto forte di novembre. Certo, il clima ha la sua importanza. Ma non possiamo tacere che situazioni di questo tipo si stanno susseguendo negli ultimi anni in molti Stati del Brasile, con centinaia e centinaia di morti. Penso a quanto accaduto a Petrópolis, vicino a Rio, sul litorale di San Paolo, negli Stati di Minas Gerais, Espírito Santo, Santa Catarina. Sta esplodendo uno squilibrio ambientale che noi, con la Pastorale della terra, abbiamo denunciato decenni fa. Devastazione ambientale, deforestazione, intere zone sono tutte piantate a soia oppure date ad allevamento. Qui nell’altopiano la foresta atlantica ha fatto posto a una distesa uniforme di soia. La deforestazione fa defluire l’acqua in modo molto più rapido. Ancora, penso all’uso scriteriato di combustibili fossili, buttiamo nell’aria tonnellate di idrocarburi, senza contare il metano prodotto dal bestiame degli allevamenti intensivi. Tutto questo provoca siccità al nord, una cosa che in 42 anni non ho mai visto. Lo squilibrio è evidente, Papa Francesco ha ragione quando ci dice che la terra ha una vita che va rispettata. Purtroppo, l’America Latina continua a essere vista come una colonia, da cui esportare ogni cosa. Bisogna avere la forza di cambiare la struttura produttiva del Paese”.
Il Paese è poco preparato. Sulle responsabilità politiche ed economiche insiste, con il Sir, anche Ima Vieira, docente di Ecologia, ricercatrice del Museo Goeldi e collaboratrice della Rete ecclesiale panamazzonica – Repam del Brasile: “Negli ultimi 11 anni – spiega -, a partire dalla pubblicazione del Primo rapporto di valutazione nazionale del Panel brasiliano sui cambiamenti climatici nel 2013, la scienza ha affermato all’unanimità che la tendenza per la regione meridionale del Brasile è quella di un aumento delle precipitazioni a causa del riscaldamento del clima. La società e i dirigenti pubblici erano, quindi, consapevoli del problema. L’anno 2024 ripete, su scala ancora più ampia, la tragedia avvenuta nel 2023. Si tratta quindi chiaramente dell’effetto del cambiamento climatico, esacerbato da El Niño, i cui effetti si fanno ancora sentire”.
Secondo la docente “la crescita urbana disorganizzata si verifica spesso in aree suscettibili di inondazioni e aggrava la situazione. Questo è il caso di molte città del Brasile. Ma il fatto è che il Paese non ha un piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Nel Rio Grande do Sul nel corso di un anno ci sono state molte tempeste, a giugno, settembre, novembre, aprile e ora maggio. E ad ogni tragedia, ci rendiamo conto che il Governo statale non ha competenze ed è stato negligente nel disporre di politiche e misure preventive per agire in queste situazioni di emergenza”.
In Amazzonia, il fenomeno contrario e inedito della siccità è causato “da una combinazione di fattori naturali e antropici. Tra i fattori naturali vi sono le variazioni climatiche, come il fenomeno El Niño e le oscillazioni climatiche a lungo termine. I fattori antropici includono la deforestazione, i cambiamenti nell’uso del suolo e le emissioni di gas serra, che contribuiscono al riscaldamento globale e hanno alterato i modelli climatici della regione. La deforestazione, che è in diminuzione ma raggiunge ancora i 6-10.000 chilometri quadrati all’anno, riduce l’evapotraspirazione della vegetazione e diminuisce la quantità di umidità disponibile nell’atmosfera”.
Situazioni che hanno un grosso impatto sulla vita delle persone, e soprattutto dei poveri incalza Vieira: “I cambiamenti climatici influenzano la vita di tutti. Le persone perdono le loro case, la loro vita cambia completamente. La salute delle persone è scossa. L’economia crolla. Le infrastrutture delle città sono distrutte. La sicurezza alimentare, l’approvvigionamento idrico e i medicinali sono problemi seri in queste situazioni. In Amazzonia, il periodo di siccità si è esteso a 4-5 mesi, rispetto ai 3 mesi precedenti. Nel 2023, l’Amazzonia ha registrato un aumento significativo delle aree colpite da incendi, per un totale di 10,7 milioni di ettari bruciati. Si tratta di un’area equivalente alla somma dei territori di Irlanda e Belgio e rappresenta un aumento del 35,4% rispetto all’anno precedente”.
*giornalista de “La vita del popolo”