“Nessuno ci darà un certificato di morte perché siamo custoditi da Dio”: conta le ore George Anton, direttore amministrativo di Caritas Jerusalem a Gaza, da quando il 7 ottobre, giorno dell’attacco terroristico di Hamas a Israele, è scoppiata la guerra nella Striscia. “Oltre 5.000 ore sono trascorse e la nostra vita è diventata una lotta per la sopravvivenza sotto le bombe, di resilienza, di perseveranza” scrive Anton dalla parrocchia latina della Sacra Famiglia dove è sfollato con altri 462 fedeli cristiani, 208 si trovano invece in quella ortodossa, non lontana, di san Porfirio. Parole affidate anche ai social nella speranza di far giungere a quante più persone possibili la sua testimonianza. Oltre 5mila ore di solidarietà e sacrifici, di frustrazione e di disperazione” che però “non ci hanno impedito di sorridere, giocare, pregare, supplicare, digiunare e compiere atti di misericordia. Oltre 5mila ore trascorse restando attaccati alla nostra terra e alle nostre radici”. La morsa dell’esercito israeliano su Gaza city, nel nord della Striscia, dove si trova la parrocchia latina, “sembrerebbe essersi allentata” mentre a Rafah, nel sud, al confine con l’Egitto, secondo l’Unrwa, sarebbero circa 110mila le persone fuggite dalla città dopo che Israele ha intensificato i suoi bombardamenti. La paura che possa concretizzarsi la minacciata offensiva di terra sta spingendo molti sfollati a cercare un luogo sicuro dove ripararsi. Per tutta la popolazione civile locale l’unica speranza è quella di un cessate il fuoco”. Intanto stamattina a Kerem Shalom (sud di Israele), località dove è situato il valico da cui transitano, dopo i controlli di sicurezza, i camion degli aiuti umanitari per la Striscia, si sono udite nuove sirene di allarme a causa di razzi lanciati da Gaza. Egitto, Usa e Qatar premono per una ripresa dei negoziati a Doha. Fonti egiziane hanno riferito di “una nuova telefonata tra il presidente americano Joe Biden e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu entro due giorni, per un rapido ritorno ai negoziati e al raggiungimento di un accordo anche per il rilascio degli ostaggi, trattenuti nella Striscia”.
“Papa Francesco, uno di noi”. “La situazione qui da noi a Gaza City adesso è un po’ migliorata – racconta al Sir madre Maria del Pilar, dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive), missionaria a Gaza -. È più facile reperire un po’ di cibo e le famiglie possono acquistarlo anche se i prezzi sono alti. I primi giorni di guerra qui in parrocchia eravamo oltre 700, oggi meno di 500. Molti sono partiti. C’è chi vorrebbe uscire dalla Striscia e andare in Egitto ma è molto difficile a causa della situazione a sud, a Rafah”. Suor Pilar non esita a definire “questi giorni di relativa calma” come “una grazia di Dio”. Il pensiero della religiosa corre ai combattimenti dei mesi scorsi, ai bombardamenti che segnavano le ore notturne, ai cristiani uccisi in parrocchia e a quelli nella chiesa di san Porfirio. “La paura c’è sempre – ammette – ma questa non ci impedisce, per esempio, di organizzare dentro il piazzale della parrocchia dei giochi per i bambini, delle classi di catechismo. Così riusciamo a regalare qualche ora di svago ai più piccoli che soffrono la guerra e sono traumatizzati”.
Quanto agli adulti, ai genitori che sono sfollati in parrocchia, madre Pilar è convinta: “più del cibo e dell’acqua, pure necessari, in questi mesi di guerra a darci forza è stata la fede. Ci siamo aggrappati a Gesù per non cadere nella depressione e nella disperazione più totale. Insieme al vice parroco, padre Youssef Asaad, abbiamo parlato tanto con le famiglie trascorso tempo con i nostri bambini”. In questi mesi, dichiara la religiosa, “un grande aiuto è arrivato dalle donne, dalle madri che hanno assunto tante responsabilità nell’organizzazione della vita in parrocchia, dall’assistenza ai bambini alla cucina, mostrando forza e fede in ogni momento”. Un ultimo pensiero suor Pilar lo rivolge a Papa Francesco: “la sua presenza, la sua vicinanza è per noi motivo di grande conforto. Non ha mai smesso di telefonare in parrocchia e spesso parla con i parrocchiani, con i bambini. La sua benedizione ci trasmette tanta forza. È come se fossi qui con noi, anzi, posso dire che è uno di noi!”.