La protesta degli universitari statunitensi: “Stop alla guerra in Medio Oriente”

Da due settimane le università sono diventate cuore pulsante di una protesta che disapprova il sostegno degli Stati Uniti alla politica israeliana su Gaza e sui bombardamenti indiscriminati che vanno avanti dal 7 ottobre, quando il gruppo terroristico di Hamas fece irruzione in alcune cittadine israeliane uccidendo 1.200 persone e prendendone in ostaggio circa 300. Da quel giorno la guerra del governo di Benjamin Netanyahu ha provocato oltre 34.000 morti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, dove i coloni di insediamenti proibiti ufficialmente, hanno attaccato altri palestinesi

(Foto AFP/SIR)

Gridano slogan sulla Palestina libera, con un megafono che passa di mano in mano. Sono assiepati sulle scale della Fordham University, l’università gesuita al centro di New York. Sono oltre un centinaio. Tutti giovani. Alcuni indossano la kefiah rossa, altri quella nera. Ci sono alcune ragazze velate. Tutti hanno la mascherina per non rendersi riconoscibili alla polizia. Ne offrono una anche a me. “Per proteggerti”, mi dice questo giovane di cui riesco ad intravedere solo gli occhi. La polizia sorveglia l’assembramento, senza particolare tensione. I manifestanti cantano. Si gridano ancora inni, ma non ci sono discorsi antisemiti o incitazioni violente. Nessuno grida contro gli ebrei, ma chi prende il megafono e stavolta senza maschera chiede che l’università disinvesta da attività finanziarie collegate ad Israele o chiuda progetti di collaborazione tra università.

La stessa richiesta che in queste ore si sente ripetere nei campus delle università del Texas, dell’Ohio, della California, come a Yale e alla Columbia. Da due settimane le università sono diventate cuore pulsante di una protesta che disapprova il sostegno degli Stati Uniti alla politica israeliana su Gaza e sui bombardamenti indiscriminati che vanno avanti dal 7 ottobre, quando il gruppo terroristico di Hamas fece irruzione in alcune cittadine israeliane uccidendo 1.200 persone e prendendone in ostaggio circa 300. Da quel giorno la guerra del governo di Benjamin Netanyahu ha provocato oltre 34.000 morti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, dove i coloni di insediamenti proibiti ufficialmente, hanno attaccato altri palestinesi.

La scorsa settimana sul prato antistante la Columbia University, 108 studenti sono stati arrestati dopo che la presidente dell’università Minouche Shafik ha chiesto alla polizia di sgomberare l’accampamento di tende e sacchi a pelo sul prato. L’ultimo scontro tra agenti e studenti è avvenuto giovedì alla Emerson University di Boston, quando la polizia ha sgomberato un accampamento studentesco. Anche qui oltre 100 sono stati gli arresti, mentre quattro poliziotti sono stati feriti. Per evitare il degenerare delle manifestazioni, l’università della California ha scelto di cancellare la cerimonia di diploma, mentre la Columbia ha deciso di spostare online tutte le lezioni in presenza, soprattutto dopo che un rabbino del campus ha chiesto agli studenti ebrei di restare a casa perché l’ambiente era diventato pericoloso. Sia i media, che i partiti politici stanno cavalcando l’onda di proteste puntando il dito sul presidente americano Biden, su quello israeliano o su chiunque accenda le polemiche o si isola nell’angolo del nemico. Eppure a Fordham, come anche alla Columbia, ci sono studenti ebrei tra i manifestanti. Alcuni di loro stanno celebrando le feste della Pasqua ebraica, con le cene, note come seder, e le preghiere proprio nelle tende sui prati dei vari campus.

Molti media hanno scelto di esacerbare le proteste, contrapponendo studenti ebrei indifesi ed studenti filopalestinesi estremisti. A guardare la piccola folla che mi circonda a Fordham e vedere tra i manifestanti tanti asiatici, nordamericani e latino americani è difficile pensarli pronti alla violenza. Eppure in queste settimane le ideologie estreme e radicali hanno cominciato a manifestarsi in slogan che chiedono “Palestina libera dal fiume al mare” sottintendo la cancellazione di Israele, assieme a vignette e scritte che inneggiano ad Hamas o alle brigate iraniane Qassam, gruppi non certo noti per il pacifismo.

Padre Roger Landry, cappellano cattolico della Columbia, si è anche lamentato, con il sito di notizie Crux, del fatto che “la divisione, l’ostilità e la guerra di classe vengono fomentate, e vari elementi esterni stanno cercando di utilizzare la Columbia come sfondo per portare avanti le loro agende politiche”.

Landry sta lavorando con gli studenti cattolici dell’università per aiutarli a riconoscere l’importanza della preghiera e dell’amore anche in momenti così tesi, dove sono chiamati ad essere operatori di pace. Il cappellano tiene gli studenti informati su come Papa Francesco e la Santa Sede stanno affrontando la guerra, mentre cercano di raggiungere “le persone immediatamente colpite – studenti ebrei, studenti palestinesi, studenti di Gaza e altri – per assicurarci che sappiano che li proteggiamo”.

La repressione delle proteste universitarie ha allarmato anche l’Onu. Irene Khan, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione ha dichiarato che “la crisi di Gaza sta davvero diventando una crisi globale della libertà di espressione” e che negli Stati Uniti sta prendendo piede “un’isteria” che non sa distinguere l’antisemitismo e l’islamofobia, “che sono proibiti” e la critica ad Israele come entità politica. “Criticare Israele è perfettamente legittimo secondo il diritto internazionale”, ha spiegato la Khan ed è quello che a Fordham e in altre università, molti studenti stanno facendo.

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