“Siamo abituati a considerarci meglio delle altre creature, perché noi siamo in grado di conoscere il mondo, e ci chiamiamo Homo sapiens. Ma quando una macchina può leggere e collegare i contenuti di milioni di libri, quali conoscenze può sviluppare? Siamo pronti all’incontro con questa Machina sapiens?”. Se lo domanda Nello Cristianini, professore di intelligenza artificiale all’Università di Bath e autore del volume “Machina sapiens. L’algoritmo che ci ha rubato il segreto della conoscenza” (Il Mulino).
Utopisti digitali e tecno-scettici: come porsi di fronte alle sfide dell’IA?
Questo è un momento importante e delicato, in cui la tecnologia sta cambiando rapidamente, e questo cambierà anche la società. È importante essere all’altezza della situazione: accettare tutto o rifiutare tutto non richiede molta intelligenza e non è molto utile. Quello che serve è usare il cervello e il senso critico, capire la situazione, guidare il processo a nostro vantaggio. In poche parole:
nel giro di pochi anni abbiamo trovato una tecnologia in grado di imparare da milioni di documenti, riassumerli, collegarli e conversare. Questo avrà molte conseguenze di diversa natura.
Tra opportunità e rischi, l’IA sta entrando nell’uso quotidiano delle persone: smartphone, domotica, robot, assistenti digitali…
Date due aziende in competizione, una che usa i computer e l’altra che funziona con le macchine da scrivere, quale ci aspettiamo che potrà restare sul mercato? È questo il dilemma che affronta la nostra società: adottare le nuove tecnologie ci rende molto più efficienti. Il problema è quello di conoscere e mitigare i rischi, e quindi di comprendere a fondo questa rivoluzione. Dobbiamo prestare particolare attenzione ai più deboli.
Si raggiungerà la “soglia critica oltre cui le macchine avranno prestazioni sovrumane”? E diventeranno autocoscienti?
Non vedo l’autocoscienza come una direzione utile, o probabile, e forse nemmeno fattibile. Qui si parla solo di intelligenza e comprensione: fare macchine che risolvono problemi e comprendono il mondo, sia pure a modo loro. Ma nulla di più: niente emozioni, e niente coscienza.
Non stiamo costruendo esseri umani. Ma è possibile, forse anche probabile, che in molti compiti le nostre creature avranno prestazioni superiori alle nostre: già lo fanno negli scacchi, o nella memorizzazione dei numeri di telefono, tra breve lo faranno nella guida delle automobili, e forse un giorno in molti altri compiti che ci stanno a cuore, io penso anche nella scoperta scientifica.
Non c’è motivo per aspettarsi che la loro evoluzione si fermerà allo stesso punto in cui ci troviamo noi.
L’avvento dell’IA allargherà le disparità sociali e, in particolare, metterà in crisi il mondo del lavoro?
Lo scopo dell’automazione è quello di sostituire delle persone con dei meccanismi automatici, quindi c’è da aspettarsi che molti compiti saranno svolti dalle macchine. Ma se questo avviene lentamente, avremo modo di organizzarci. Il pericolo c’è quando le cose avvengono troppo velocemente. Mi aspetto che lavori come l’operatore di un call centre saranno molto presto svolti da computer parlanti.
Nel messaggio per la 58ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il Papa ha parlato di “Intelligenza artificiale e sapienza del cuore”. Che ruolo può avere la Chiesa nella riflessione sull’IA?
Quel messaggio del Papa è molto interessante, ci chiede di evitare le paure paralizzanti, ma anche di tenere in mente i valori fondamentali della nostra vita. Nei grandi momenti di cambiamento, come questo, ci troviamo spesso a considerare i nostri valori, e qui
la Chiesa ha un ruolo importante: ricordarci che non c’è solo l’efficienza, ci sono altre cose da considerare.
Il Parlamento europeo ha recentemente approvato l’AI Act per regolamentare la materia.
Senza dubbio il tema va regolamentato. I Parlamenti si trovano di fronte a decisioni difficili: dobbiamo regolamentare una tecnologia complessa e in rapida evoluzione, senza danneggiare l’industria ma senza sacrificare i nostri valori. Ci sarà molto lavoro da fare, ma almeno abbiamo cominciato.