“Tutti coloro che potranno partecipare alla processione delle Palme rappresenteranno la Chiesa e dunque agiteranno le palme anche a nome di coloro che non saranno presenti”. Alla vigilia della Domenica delle Palme, 24 marzo, a parlare al Sir è il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. La Settimana Santa a Gerusalemme si apre con una delle più partecipate celebrazioni pubbliche cristiane, la processione delle Palme che nel pomeriggio della Domenica delle Palme percorre la strada che va dal santuario di Betfage (sul versante orientale del monte degli Ulivi,) a Gerusalemme, passando per vari luoghi santi come il monastero delle carmelitane del Pater Noster, l’edicola dell’Ascensione del Signore, il santuario Dominus flevit, il Getsemani, la tomba della Vergine Maria e la Grotta dell’arresto.
Migliaia di pellegrini con in mano rami di ulivo intrecciati rievocano, con canti e preghiere, l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, manifestando la propria fede. Quest’anno, a causa della guerra a Gaza, sono attesi pochissimi pellegrini e anche il numero dei cristiani locali potrebbe risentire delle restrizioni israeliane. A confermarlo al Sir è il vicario della Custodia, padre Ibrahim Faltas: “In Terra Santa non si percepisce il clima della festa come negli altri anni. I permessi concessi da Israele ai cristiani della Cisgiordania sono pochi. E anche quelli che li avranno non credo si sposteranno per salire a Gerusalemme. La gente sta male e soffre. La processione delle Palme di domenica 24 marzo sarà scandita solo dalla preghiera. Gli scout sfileranno in pochi, in silenzio, senza suonare i loro tamburi e cornamuse. L’assenza dei pellegrini si farà sentire”.
Un prolungato Venerdì Santo. Tuttavia, padre Patton esorta a non preoccuparsi del numero perché, afferma, “una delle cose belle del cristianesimo è l’idea del corpo, quello che fa una parte del corpo lo fa tutto il corpo. Non sempre percepiamo a fondo questa idea. Ed è importante ribadirla proprio in queste situazioni”. Il custode rievoca i tempi del Covid quando “ci siamo ritrovati in pochi a celebrare le solennità di Natale e Pasqua. Non dobbiamo cadere nella tentazione di contarci. Quando celebriamo l’Eucarestia ‘nel Suo nome’, sia che siamo due o tre o 5mila, Gesù si rende presente e tutto il corpo ecclesiale ne beneficia. Non sono i numeri a dare significato alla celebrazione”.
La Settimana Santa, aggiunge Patton,
“non è il segno del trionfalismo cristiano ma la proposta di seguire un re mite che entra a Gerusalemme sul dorso di un asino.
Un re che al trionfo vede subito sostituirsi il rifiuto e la condanna, soffrendo e arrivando a dire: ‘Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato’. Non cadiamo nella tentazione di considerare la gloria della risurrezione come qualcosa di permanente e la sofferenza della passione come qualcosa che spettava solo a Gesù. La Chiesa di Terra Santa ma un po’ di tutto il Medio Oriente – dice il custode – sta vivendo un prolungato Venerdì Santo, come schiacciata dal peso della Croce. Ma sono anche convinto che
non sarà un Venerdì Santo eterno.
Prima o poi il Venerdì Santo finirà anche per noi e il sole di Pasqua sorgerà anche per la chiesa di Gerusalemme per la Chiesa della Terra Santa e in tutto il Medio Oriente”.