“La situazione ad Haiti in questo momento è molto grave e surreale. La parte bassa della città e la zona dell’aeroporto sono in mano alle bande. Siamo più preoccupati del solito. Uomini armati camminano per strada e controllano la zona, ma soprattutto tengono d’occhio l’aeroporto, in attesa di vedere quando il Primo ministro rientrerà nel Paese. Di fatto anche le frontiere terrestri sono ferme”. A parlare al Sir da Port-au-Prince, capitale di Haiti, è Flavia Maurello, rappresentante Paese dell’organizzazione non governativa Fondazione Avsi, che opera nell’isola caraibica da molti anni. Oltre alla violenza delle gang, ai rapimenti, alla povertà e altre calamità, nei giorni scorsi sono evasi dalle carceri 3.896 detenuti. “Sicuramente l’ingrossarsi della potenza delle bande dopo l’evasione dalle prigioni ci preoccupa molto, insieme al ripiegamento delle forze di polizia”, precisa Maurello. Le bande criminali tengono in ostaggio la capitale e il governo ha decretato lo stato di emergenza. Le oltre 200 gang controllano l’80% di Haiti. Si pensa che l’evasione di massa sia stata ben organizzata, un attacco premeditato in occasione del viaggio in Kenya del primo ministro Henry Ariel per precisare l’accordo con il governo di Nairobi per l’invio ad Haiti di una forza di contrapposizione armata con 1000 soldati keniani. Dietro il complotto potrebbe esserci l’ex poliziotto Jimmy Cherizier, detto “Barbecue”. Ariel ha cercato di rientrare a Port-au-Prince lunedì ma non è riuscito. Gli è stato negato l’accesso anche nella vicina Repubblica Dominicana, quindi è atterrato a Portorico tra violente proteste. Sta cercando di arrivare ad Haiti passando dalla Giamaica.
“Di fatto gli Stati Uniti stanno spingendo per le dimissioni del Primo ministro – spiega Maurello -. Se non riesce ad entrare nel Paese dovrà effettivamente dimettersi. Difficile dire se la situazione potrà migliorare, tutto dipenderà dalla capacità del Primo ministro di rientrare nel Paese e di poter ristabilire l’ordine. Se rientra si presume che la forza militare verrà inviata. Ma sono solo supposizioni”.
La situazione è surreale perché nella parte alta della città, a Petionville (dove sono gli uffici di Avsi) le banche, i supermercati, gli esercizi commerciali sono aperti.
“C’è uno scollamento tra la zona controllata dalle bande e il resto delle zone della capitale, anche nelle aree rurali”,
racconta l’operatrice umanitaria.
Avsi opera, con personale locale, in due bidonville molto pericolose, spesso teatro di violenza da parte delle gang: Cité soleil e Martissant. “In questo momento è difficile pensare di operare in questi quartieri ma stiamo osservando la situazione. Raccogliamo informazioni per poter agire. Mentre nelle altre zone del Paese i progetti vanno avanti regolarmente”. Si tratta di progetti di prima assistenza medica, sanitaria, educativa, cibo e acqua, e progetti di sviluppo. “Continuiamo ad operare in città e nelle aree rurali per portare servizi alla popolazione – dice Maurello -. Il nostro staff resta sul campo perché reclutato in queste zone, quindi anche loro sono i primi spettatori di queste violenze e vittime della situazione degradante delle bande”. Al momento non ci sono segnali su possibili rischi per gli operatori umanitari. “Purtroppo la situazione è volatile e potrebbe evolversi in ogni momento, quindi quello che è valido oggi potrebbe non essere valido domani”, conclude.
Durante il 2023 sono morte ad Haiti a causa delle violenze delle gang almeno 8.400 persone, con migliaia di feriti. Nel solo mese di gennaio 2024 ci sono state 500 vittime. Senza contare i rapimenti, che colpiscono anche la Chiesa cattolica locale.
L’Unicef ha lanciato oggi un nuovo allarme: ad Haiti 2 bambini su 3 hanno bisogno di aiuti umanitari. Centinaia di migliaia di bambini e rispettive famiglie vivono in alcune delle comunità più pericolose e assediate. Più di 362.000 persone disperate sono sfollate all’interno del Paese e la fame e la malnutrizione, che minacciano la vita, sono a livelli record in tutto il Paese.