“Porto quotidianamente nel cuore, con dolore, la sofferenza delle popolazioni in Palestina e in Israele, dovuta alle ostilità in corso. Le migliaia di morti, di feriti, di sfollati, le immani distruzioni causano dolore, e questo con conseguenze tremende sui piccoli e gli indifesi, che vedono compromesso il loro futuro. Mi domando: davvero si pensa di costruire un mondo migliore in questo modo, davvero si pensa di raggiungere la pace? Basta, per favore! Diciamo tutti noi: basta, per favore! Fermatevi!”. Le parole accorate di Papa Francesco, ieri all’Angelus, sono arrivate subito a Gaza a donare un po’ di conforto alla popolazione locale, in particolare ai circa 600 sfollati ospitati nelle strutture della parrocchia cattolica della Sacra Famiglia, e di quella ortodossa di san Porfirio. Lo racconta al Sir suor Nabila Saleh, religiosa delle Suore del Rosario di Gerusalemme, che dall’inizio della guerra tra Hamas e Israele si trova nella parrocchia della Sacra Famiglia. E il suo “grazie” al Papa è quello di tutti gli altri fedeli sfollati.
Come animali. “La guerra – dice – sta uccidendo anche la dignità umana, le persone ormai sono ridotte a vivere come animali, se non peggio. Mi chiedo perché tanta crudeltà. E il mondo resta in silenzio”. La domanda di Papa Francesco all’Angelus è la stessa di suor Nabila che aggiunge: “È possibile che non ci sia nessuno che in grado di fermare questa crudeltà continua verso civili innocenti? Dove sono oggi coloro che si riempiono sempre la bocca di diritti umani e di giustizia? Il silenzio del mondo è assordante. Il solo che ha il coraggio di alzare la voce contro la guerra, contro tutte le guerre, è Papa Francesco”. La vicinanza del Pontefice ai cristiani di Gaza è pressoché continua: “telefona ogni giorno al vicario parrocchiale padre Youssef Assad, ci rassicura e ci dice che prega per noi e anche noi preghiamo per lui – ribadisce la suora -. Noi possiamo solo pregare per implorare la fine della guerra e la liberazione degli ostaggi. E lo facciamo tutti i giorni”.
Pochi aiuti al Nord. “Nella parrocchia latina, qui nel quartiere di Al Zeitoun di Gaza City, la situazione è apparentemente calma. Sentiamo sparare ma non nelle nostre vicinanze” afferma la religiosa confermando, in modo indiretto, la fine temporanea dei raid israeliani nella zona contro siti di Hamas e della Jihad islamica. Ma la situazione in tutto il nord della Striscia resta grave. “Qui nel nord di Gaza arrivano pochi convogli umanitari – conferma suor Nabila –. Sappiamo che diversi Paesi (Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti e anche gli Usa, ndr.) stanno paracadutando aiuti alimentari lungo la costa ma avvicinarsi può essere pericoloso. Il rischio è di essere colpiti.
A Gaza oggi si può morire anche per un pacco di farina.
Pensiamo a ciò che è accaduto nei giorni scorsi: oltre 100 morti tra la gente che cercava di prendere gli aiuti trasportati dai camion”. Attualmente, secondo il portavoce del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, sarebbero “quasi mille i camion che aspettano di entrare a Gaza dal confine egiziano”. “Le restrizioni agli aiuti diretti al nord – denuncia a sua volta Adele Khodr, direttrice regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa – stanno costando vite umane. Gli screening sulla malnutrizione effettuati dall’Unicef e dal Wfp (Programma alimentare mondiale) nel nord del Paese a gennaio hanno rilevato che quasi il 16% – ovvero 1 bambino su 6 sotto i 2 anni – è gravemente malnutrito. Esami simili sono stati condotti nel sud, a Rafah, dove gli aiuti sono stati più disponibili, e hanno rilevato che il 5% dei bambini sotto i 2 anni è gravemente malnutrito”.
Alle soglie della sopravvivenza. “Qui a Gaza City, al nord, non c’è molto da poter acquistare in qualche mercato improvvisato. Quel poco che si trova – spiega suor Nabila – ha dei prezzi così alti che nessuno può permettersi di comprare. C’è chi ha venduto tutto ciò che aveva per racimolare del denaro per poter, non vivere, ma sopravvivere. Oramai la gente mangia tutto ciò che trova, anche foraggio e cibo per animali”. “A pagare questa guerra è la povera gente innocente, la popolazione civile, non altri” denuncia la suora.
“La sofferenza è sulle spalle di donne, bambini, malati, anziani, disabili, padri di famiglia. Tutti hanno perso tutto, non c’è una famiglia, una persona che non abbia perso la propria casa, i suoi familiari, il lavoro, il negozio, l’attività. Non abbiamo più nulla. In una parola: abbiamo perso il futuro”.
“Cosa faremo? Chi ricostruirà? Cosa sarà di tutta questa povera gente?”. Domande, queste di suor Nabila, destinate a restare senza risposta. “Tutti vogliono andare via, ma dove, nessuno vuole aprire le proprie frontiere. I bambini ci dicono che vogliono ritornare alla loro vita normale, a scuola, a casa, ma non sanno che fuori la parrocchia non c’è più nulla, ci sono solo macerie. La parrocchia è diventata per loro e per noi tutti, la nostra casa, la nostra chiesa e il nostro cimitero. Se dobbiamo morire moriremo qui nella nostra chiesa”.