(Tel Aviv) “Gli stupri e le violenze sessuali perpetrati da Hamas costituiscono un fenomeno senza precedenti nella storia del terrorismo, del conflitto israelo-palestinese e degli attacchi compiuti in Israele da terroristi palestinesi sin dalla fondazione di Israele. Siamo davanti ad un drammatico spartiacque nell’esperienza israeliana del terrorismo palestinese e globale”.
Così Yifat Bitton, avvocato, docente di diritto, fondatrice di Tmura, il Centro israeliano di anti-discriminazione e presidentessa del College accademico “Achva”, commenta la vicenda degli abusi e delle violenze sessuali commesse dai terroristi di Hamas lo scorso 7 ottobre, nel Sabato nero di Israele. In un’intervista resa al Sir, a margine di un incontro svoltosi nei giorni scorsi al Rabin Center di Tel Aviv promosso dall’Ajc, l’American Jewish Committee, Bitton, che sin da subito ha seguito da vicino i processi di identificazione delle vittime e dei sopravvissuti al massacro del 7 ottobre, parla di
“uso sistematico della violenza sessuale come arma di guerra mirante a distruggere la società israeliana attraverso i corpi delle donne. I crimini atroci perpetrati ai danni di donne, ragazze, bambini e bambine, uomini, filmati e diffusi dai terroristi di Hamas non possono più essere negati”.Le stesse parole usate dall’avvocato, lo scorso 4 dicembre, in una conferenza, a New York, organizzata dalla rappresentanza di Israele presso l’Onu.
“L’attacco – dichiara Bitton che il 7 ottobre ha perso i suoi due cognati – è durato circa un giorno, durante il quale i terroristi hanno avuto il tempo e la possibilità di uccidere, torturare fermandosi anche nelle abitazioni degli israeliani. La loro missione consisteva nell’infiltrarsi in Israele e nell’uccidere il maggior numero possibile di persone. La commistione tra stupro e omicidio si è verificata in un periodo di tempo relativamente breve. Per questo, per le dimensioni che ha avuto, lo ritengo un orrore senza precedenti”.
Presidente, quanti casi di violenza sessuale sono stati denunciati ad oggi?
Le indagini delle forze dell’ordine sono ancora in corso. Ci vorrà molto tempo prima che la Polizia possa arrivare a definire con chiarezza il numero dei casi. Al momento quelli identificati, comprovati perché documentati da fonti molto attendibili come i centri anti-stupro, sono 35. Sappiamo che alcune vittime hanno deciso di parlare in pubblico. Inoltre siamo a conoscenza di abusi sessuali e molestie subite dagli ostaggi, come hanno riferito e testimoniato alcuni di quelli che sono stati rilasciati. Un’ipotesi realistica potrebbe essere quella di circa 100 casi di abuso sessuale inteso in senso ampio. Una cifra che non include i casi veri e propri di stupro, più difficili da identificare in questa fase.
È possibile paragonare le violenze sessuali inflitte alle donne israeliane a quelle avvenute nelle guerre in Bosnia e Ucraina?
È difficile confrontare i casi perché, sia in Bosnia sia in Ucraina, si è trattato di un attacco continuativo che si è protratto per lunghi periodi, con l’obiettivo molto specifico del genocidio anche mediante gravidanze, ad esempio, e non solo lo stupro. Nel caso israeliano le uccisioni di massa hanno avuto luogo in un lasso di tempo limitato con l’evidente scopo di fare del male al più alto numero di uomini e donne. Elementi questi pressoché assenti nel caso della Bosnia e dell’Ucraina, dove, ripeto, le guerre si sono protratte nel tempo.
Perché le notizie di abusi sessuali sono uscite a distanza di più di un mese dal 7 ottobre e quali sono le principali difficoltà che gli investigatori stanno affrontando per fare luce su questi fatti?
Credo che le difficoltà nella raccolta delle prove e nella conduzione delle indagini, come se si trattasse di un normale crimine di violenza di genere, siano parte del motivo della divulgazione di queste notizie un mese dopo. Molte persone hanno negato la violenza sessuale e c’è voluto del tempo per capire che invece c’era stata. Nel portare avanti le nostre indagini, come studiosi e attivisti, e nell’esaminare le varie testimonianze siamo stati professionisti meticolosi, molto cauti, e ci è voluto del tempo per presentarle anche ai media. Inoltre va detto che tanti giornalisti israeliani hanno subìto perdite tra i loro familiari e dunque non potevano raccontare ciò che stava accadendo prima che venisse resa nota l’atrocità degli abusi e delle violenze sessuali. Non ci siamo trovati davanti una scena del crimine ma una zona di guerra. I team israeliani incaricati delle indagini si sono trasformati in unità di identificazione dei cadaveri visto l’alto numero delle vittime. Esercitazioni di emergenza svoltesi nei mesi precedenti al 7 ottobre, riguardo ad attentati di grandi dimensioni, erano calibrate su un numero di 200-300 morti. Qui stiamo parlando di 1.200 persone.
Come sta reagendo la società israeliana a questa vicenda?
Siamo stati colti di sorpresa e fatichiamo a fare i conti con questa realtà, fino al 7 ottobre, ritenuta inimmaginabile. Stiamo vivendo un enorme trauma collettivo. La domanda è: come è stato possibile infliggere tale e tanta violenza a civili israeliani? Tra i primi soccorritori giunti sui luoghi dell’attacco c’erano anche dei soldati. Alcuni di loro non sono riusciti ad elaborare ciò che hanno visto per il trauma vissuto, incapaci, sul momento, di fornire il loro resoconto sull’accaduto. Lo hanno fatto in seguito con l’aiuto della Polizia. Non si tratta di qualcosa che abbiamo già vissuto in precedenti attacchi terroristici. Quanto accaduto il 7 ottobre non rientra nel conflitto israelo-palestinese.
Da avvocato, quali sono le sue aspettative sul rendere giustizia a queste donne e per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle violenze sessuali in situazioni come questa avvenuta in Israele?
Rendere giustizia a queste donne è un obiettivo importante che va raggiunto attraverso le indagini giudiziarie e le verifiche scientifiche di ciò che è accaduto, insieme a un piano di assistenza sanitaria destinato alle vittime di violenza, ai loro familiari e congiunti. E questo deve riguardare tutte le donne nel mondo. Sono più preoccupata di come verrà fatta giustizia a livello internazionale, visto il trattamento che hanno subito, che non in Israele. Le vittime sono state messe a tacere due volte, prima da Hamas, il 7 ottobre, e poi dal silenzio delle stesse organizzazioni delle Nazioni Unite cui era stato affidato il mandato di proteggerle indipendentemente dalla loro origine e dal contesto in cui si trovano. Per questo confido molto nella visita in Israele (dal 29 gennaio, ndr.) della rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per la violenza sessuale nei conflitti, Pramila Patten. Spero che possa portare a fare giustizia delle atrocità che queste donne hanno subìto e che altri, in questa regione, hanno ignorato. La misura delle aggressioni sessuali e degli stupri di Hamas è raccapricciante. Molto altro ancora dovrà essere rivelato dalle indagini in corso. Il mondo deve condannare queste atrocità e schierarsi dalla parte delle vittime. Se tollererà questi crimini di guerra allora vorrà dire che tollererà la demolizione degli elementi costitutivi della nostra umanità.