“Ricostruire la fiducia” è stato il tema dell’edizione 2024 del World economic forum di Davos, che ha riunito dal 15 al 19 gennaio decine di capi di Stato e di governo e migliaia di imprenditori, ministri delle finanze e governatori delle banche centrali. Anche quest’anno le élite finanziarie ed economiche hanno fatto il punto sulla situazione globale. Per Paolo Beccegato, responsabile del coordinamento amministrativo del Servizio Cei per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, incontri di questo tipo, ad alto livello, sono importanti perché luoghi di scambio per una governance globale del fenomeno. Rimane l’amarezza di una scarsa volontà nel far fronte alle disuguaglianze sociali, ai conflitti e alla lotta alla povertà nel mondo.
Come è stato il Forum economico di Davos quest’anno?
Noto negli ultimi anni una grandissima volatilità, con fenomeni improvvisi e imprevedibili come la pandemia e le due ultime terribili guerre, con una grande polarizzazione del mondo e blocchi che si allontanano tra loro. Questo rende il
contesto geopolitico internazionale frammentato e imprevedibile, tanto da lasciare una sensazione di grandissima incertezza.
Anche a Davos difficilmente riescono a fare proiezioni nel lungo periodo. Siamo tutti nella stessa barca.
Secondo l’ultimo report di Oxfam – presentato sempre in occasione del Wef – i 5 miliardari più ricchi del mondo hanno raddoppiato le ricchezze mentre più della metà del mondo (5 miliardi di persone) rimangono povere. Come ogni anno Oxfam lancia al Forum una serie di proposte per una più equa distribuzione delle risorse, ad esempio aumentando le imposte sulle ricchezze. Proposte finora mai ascoltate.
Le disuguaglianze sono una con-causa di guerra e di violenza armata e organizzata, anche nelle megalopoli. Sono un problema economico ma anche sociale. È vero che aumentano all’interno delle singole nazioni e la cosa più grave è che c’è una crescita molto forte del lato alto della forbice (i più ricchi), mentre l’altro lato della forbice non cresce o diminuisce. Perché se i poveri nel contempo migliorassero la loro situazione, almeno ad un livello di dignità umana, questo scandalo sarebbe meno grave. Purtroppo invece succede il contrario.
Temo che difficilmente a Davos saranno prese in considerazione le proposte di una azione sul reddito. La distanza tra questo tipo di lettura del mondo e quella che noi vediamo è abissale. Non mi aspetto una volontà decisa di far fronte a questo fenomeno.
Hanno ancora senso questi Forum visto l’aumento delle disuguaglianze, dei conflitti, della povertà?
I luoghi di incontro sono importanti perché sarebbe necessaria una governance globale dei fenomeni. Il fatto che ci siano luoghi di scambio è positivo, perché chiudersi nei propri orticelli sarebbe anche peggio. Il multilateralismo dall’alto e dal basso è la via maestra per affrontare queste situazioni con la partecipazione di tutti.
L’auspicio è che anche questo luogo di ricchi e potenti apra gli occhi e le orecchie all’ascolto dei più poveri.
In alternativa a questi luoghi sono sorti altri eventi, come il Forum sociale mondiale o il Forum teologico mondiale per guardare il mondo dal basso. A Davos la prospettiva è dall’alto, ossia quella dei ricchi e dei potenti, però il fatto che si confrontino, che ascoltino voci anche discordanti è positivo.
Tra le analisi presentate a Davos c’è un’allerta molto preoccupante sul clima: entro il 2050 si rischiano 14,5 milioni di morti e 12,5 trilioni di dollari di perdite economiche.
Questo dimostra che anche ai livelli più alti non si parla più di cambiamento climatico ma di emergenza climatica e occorre fare qualcosa. Si rendono conto che i costi colpiscono tutti. Sono specchio di un problema globale. Noi ce ne rendiamo conto dal punto di vista dei poveri, degli operatori umanitari. Il nostro ufficio, ad esempio, riceve sempre più richieste di supporto dalle Chiese di tutto il mondo per progetti che mirano a far fronte alle conseguenze dirette di questi disastri. Ovviamente la prospettiva dall’alto è per far fronte ai costi, la prospettiva dal basso è far fronte alla perdita di vite umane, di fertilità dei suoli, all’impatto dei fenomeni meteorologici estremi per chi vive in zone a rischio idrogeologico e in agricoltura.
Finora abbiamo visto 28 COP sul clima, eppure i passi in avanti sono stati molto pochi: c’è da parte delle élite e dei governi la volontà di agire concretamente?
Penso sia oramai interesse di tutti, ricchi e poveri, che questi temi siano ai primi posti nell’agenda dei poveri. Da anni le compagnie assicurative sono costrette a prendere atto delle conseguenze dei cambiamenti climatici e purtroppo devono alzare i premi e prendere contromisure. Ovviamente loro tutelano i loro interessi, ma la percezione che ci sia una urgenza è arrivata anche ai piani alti.
Sono i governi ad allontanare le scelte più difficili e controverse.
Altro tema toccato a Davos è l’Intelligenza artificiale. Rischia di aumentare ancora di più il divario tra ricchi e poveri?
Per la prima volta il tema è stato anche oggetto del Messaggio del Papa per la pace. È il tema dell’anno, estremamente controverso, e una priorità per ricchi e poveri. Ancora una volta c’è una grandissima disuguaglianza nell’accesso alle nuove tecnologie. Per i più poveri è davvero fantascienza poter accedere a queste possibilità. Poi c’è l’aspetto etico: anche all’interno dell’Intelligenza artificiale ci deve essere un primato dell’etica e della tutela della vita umana. Chi lavora a questo software così sofisticato intrinsecamente fa delle scelte; ma non possiamo mai mettere alcun tipo di tecnica al di sopra dell’etica. Perché se così non è abbiamo creato un mostro che si ritorcerà contro di noi. Siamo ancora in tempo perché siamo agli albori di una nuova era ma occorre porre rimedio perché non sia una valanga che ci travolge.
Israele-Hamas, Ucraina, Houthi nel Mar Rosso: siamo in una spirale di conflitti e violenza molto pericolosa. Alcuni protagonisti di queste guerre erano a Davos. Da qui possono uscire spiragli positivi o di pace?
Le ultime due guerre oltre all’impatto economico e finanziario hanno avuto un grandissimo impatto umanitario sui civili. È passato tra le pieghe di Davos il fatto che il costo delle guerre consiste in spesa pubblica crescente, ad esempio per finanziare la difesa degli ucraini dall’aggressione russa. E questi costi aumentano il debito pubblico di tutti i Paesi, anche quelli occidentali. Quindi lasciamo alle generazioni future anche il debito. La corsa al riarmo è in costante crescita e molti Stati dichiarano default, come l’Etiopia perché non ha pagato l’ultima rata del debito alle istituzioni finanziarie internazionali. Nel fare le guerre ci sono interessi politici, di consenso e visibilità che prevalgono anche sugli interessi economici dei Paesi, quanto meno nel medio e lungo periodo. Nel breve periodo un settore industriale può andar bene ma in tutta la nazione le cose vanno male. A lungo termine per mantenere l’industria bellica o farla fiorire significa che si sta tagliando in altri settori vitali come istruzione e sanità oppure si aumenta il debito pubblico, con una conseguenza per le generazioni future.
Complessivamente le guerre non sono solo un danno ma anche un costo.