(Gerusalemme) “Occorre tenere i motori accesi dei pellegrinaggi, non lasciar cadere il desiderio di venire nei Luoghi Santi e proporre il viaggio a gruppi, pur piccoli, di fedeli. Nonostante quanto sta avvenendo a Gaza è possibile recarsi in pellegrinaggio qui in Terra Santa ancor più quando, speriamo già nelle prossime settimane, molte compagnie aeree torneranno a volare su Israele. Sono convinto che la presenza dei pellegrini potrà contribuire ad allentare le tensioni attuali”.
Con queste parole il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, ha salutato un gruppo della Diòmira Travel, composto da 9 sacerdoti delle diocesi di Milano, Piacenza e Cremona, in questi giorni (dall’8 gennaio) in pellegrinaggio a Gerusalemme e a Betlemme. “Siete il primo pellegrinaggio che vediamo dal 7 ottobre scorso, giorno dell’orribile attacco terroristico di Hamas a Israele – ha detto il Custode – che ha provocato lo scoppio della guerra a Gaza e scatenato una profonda ondata emotiva che rende arduo trovare strade praticabili per la fine della violenza e per un cessate il fuoco”. Per il custode è “importante
educare alla pace a partire dalla comunicazione che deve escludere la violenza che risiede nelle parole e nel modo di dirle.
Bisogna evitare il linguaggio che de-umanizza, che descrive l’altro come ‘men che umano’ arrivando anche a giustificarne l’eliminazione, come la storia recente ha dimostrato con gli ebrei”. Padre Patton si è detto “molto colpito dalle parole della portavoce delle famiglie dei rapiti da Hamas, Rachel Goldberg-Polin, che ha sottolineato la necessità che israeliani e palestinesi riconoscano gli uni le sofferenze degli altri. Finché si resta imprigionati dentro la sola propria sofferenza – ha spiegato il francescano – ci si incattivisce, diversamente è possibile nutrire dei sentimenti di autentica compassione e misericordia, come ci insegna Cristo morto in Croce”.
Reinterpretare i testi violenti. A tale riguardo il dialogo interreligioso e la riflessione sul linguaggio usato dalle religioni possono giocare un ruolo molto importante. Tutte le religioni, anche la più pacifica, hanno passi violenti nelle loro scritture. Ma devono cominciare a reinterpretare questi testi violenti alla luce di ciò che è il nucleo fondamentale della rivelazione. I leader religiosi, ebrei, cristiani e musulmani hanno il dovere di fare una reinterpretazione pacifica dei passi violenti contenuti nei testi religiosi. Da parte delle Chiesa cattolica sono stati fatti, negli ultimi cento e più anni, grandi passi avanti come dimostra il Magistero”. Un percorso che richiederà “anni e anni” perché, ha sottolineato Patton, “questa reinterpretazione pacifica deve passare nel senso comune dei fedeli delle diverse religioni. Si tratta di un passaggio molto importante perché in un contesto come il nostro qui la religione non viene valorizzata ai fini dell’incontro”. “Nelle nostre scuole – ha ricordato il Custode – che sono frequentate da alunni cristiani e musulmani tutti pregano senza problema la preghiera di san Francesco ‘O Signore fa’ di me uno strumento della tua pace’. Questo contribuisce a creare una mentalità aperta all’incontro e al dialogo”. Nel frattempo, però, “l’instabilità e l’insicurezza, anche sociale ed economica, in cui i cristiani si trovano a vivere qui fanno crescere in tanti la voglia di emigrare. Da parte nostra cerchiamo di aiutare in ogni modo i cristiani per tenere viva in loro la speranza”. Il Custode ha poi esortato i sacerdoti pellegrini a guardare quanto sta accadendo con
“equivicinanza, parola cara a Papa Francesco, che ci impegna a condividere la sofferenza di israeliani e palestinesi. Non basta riconoscere la sofferenza di una sola parte. Come cristiani siamo chiamati a fare da anello di congiunzione”.
“Nella tragedia attuale – ha concluso – se esiste un elemento positivo quello è che, a livello internazionale, tutti hanno capito che bisogna dare soluzione politica alla questione palestinese. E la soluzione più praticabile sembra essere tornata quella dei ‘Due Popoli, Due Stati’”, da sempre sostenuta anche dalla Santa Sede.
Gesto coraggioso. Il gruppo ha incontrato anche mons. William Shomali, vicario generale del Patriarcato latino di Gerusalemme che ha definito il pellegrinaggio in corso “un gesto coraggioso e altamente significativo in questi tempi”. Mons. Shomali è andato dritto al punto: “Qui non avevamo mai vissuto una guerra così lunga a Gaza e anche in Cisgiordania la situazione è grave”.
“C’è tanto odio – ha rimarcato il vicario – e l’odio genera violenza. Siamo entrati in un circolo vizioso interminabile. Ci vorranno generazioni per riparare a tutto questo odio”.
Il vicario ha parlato della situazione a Gaza e in particolare nella piccola parrocchia latina della Sacra Famiglia, l’unica cattolica, della Striscia: “al suo interno hanno trovato rifugio i due terzi dei cristiani gazawi, circa 600 persone. Tutti hanno avuto la casa bombardata. Dobbiamo sostenerli come possiamo. Nella Striscia mancano luce, acqua, medicinali, cibo e gasolio per far andare i generatori elettrici”.
Due piccoli miracoli. In mezzo a tanta sofferenza, morte e distruzione, tuttavia, si registrano piccole storie di speranza, come quelle della cisterna e del forno della parrocchia. È stato lo stesso mons. Shomali a raccontarle: “All’interno della parrocchia della Sacra Famiglia si trova una grande cisterna che da settimane continua a dare acqua agli oltre 600 sfollati che la abitano. L’acqua sembra non finire mai anche se il vice parroco, padre Youssef Asaad, dice che stanno facendo di tutto per risparmiare ogni singola goccia”. La risposta a questo ‘miracolo’ è arrivata solo pochi giorni fa grazie a un anziano della comunità gazawa che ha rivelato a mons. Shomali che “la cisterna, profonda oltre 60 metri, è stata costruita 70 anni fa dall’allora parroco latino e attinge continuamente acqua da una piccola sorgente. La presenza della cisterna – ha aggiunto il vicario patriarcale – prova il fatto che sotto la parrocchia non corrono i tunnel di Hamas”. Altro “segno della Provvidenza” è il forno della parrocchia. “In questi tre mesi e più di guerra nessuno è morto di fame – ha spiegato mons. Shomali – grazie alla generosità di un fornaio che, avvisato da Israele della prossima distruzione del suo forno, ha trasferito in pochissimo tempo tutta l’attrezzatura per il pane, farina inclusa, dentro la parrocchia. Così facendo ha potuto continuare la sua attività sfamando gli sfollati e gli abitanti della zona intorno alla chiesa. Lo stesso fornaio ha poi voluto donare alla parrocchia 100mila shekel, oltre 24mila euro per acquistare il necessario. Una somma che è andata ad aggiungersi a quella donata da Papa Francesco attraverso l’elemosineria apostolica. “Soldi – ha concluso mons. Shomali – che verranno utilizzati per i bisogni della parrocchia, soprattutto per le medicine e per aiutare le famiglie della Cisgiordania rimaste senza lavoro dopo lo stop dei pellegrinaggi causato dalla guerra”.