La foto di Cristo sulla Croce con la scritta “Ho sete”, inviata tramite social, precede di poco la voce di suor Nabila Saleh che dalla parrocchia cattolica di Gaza dice sconfortata:
“La gente ha sete. Non abbiamo più acqua da giorni. La situazione peggiora di ora in ora, le condizioni igienico sanitarie sono sempre più pesanti. Al momento non riusciamo a ricevere nessun aiuto. Impossibile muoversi. Manca anche l’energia elettrica”.
La religiosa delle Suore del Rosario di Gerusalemme racconta al Sir gli ultimi giorni di guerra, forse i più duri, per gli oltre 600 sfollati cristiani rifugiati nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia di Gaza. Sabato 16 dicembre cecchini israeliani appostati sui tetti dei palazzi intorno alla parrocchia hanno sparato e ucciso “a sangue freddo” due donne Nahida Khalil Anton e Samar Kamal Anton, madre e figlia, mentre si dirigevano al convento delle suore. “Ero proprio dietro di loro – ricorda suor Saleh – quando sono state colpite. Anche altre persone sono rimaste ferite. L’esercito israeliano ha colpito gente inerme, qui in parrocchia non ci sono combattenti”. Parole poi ribadite con chiarezza dal Patriarcato latino di Gerusalemme e ancora domenica 17 dicembre da Papa Francesco, all’Angelus: “All’interno del complesso parrocchiale della Santa Famiglia, non ci sono terroristi, ma famiglie, bambini, persone malate e con disabilità, suore”.
I ricordi della religiosa si sovrappongono al dolore per la perdita di vite umane, volti familiari che appartenevano alla piccola famiglia della parrocchia cattolica, poco più di 100 fedeli, come Ilham Farah, 80 anni, colpita, a metà novembre, da soldati israeliani e morta dissanguata perché nessuno poteva avvicinarsi a lei per prestarle aiuto. Ex insegnante di musica, era l’organista della parrocchia. Adesso Nahida e sua figlia Samar: Nahida aveva 7 figli e 20 nipoti. Samar, invece, era la cuoca della casa dei bambini disabili custoditi dalle suore di Madre Teresa.
“Anche queste ultime – dice suor Nabila – hanno avuto la casa bombardata e diverse stanze sono andate distrutte. I più di 50 disabili gravi che erano ospiti sono stati trasferiti, non senza difficoltà, in ambienti più stretti e angusti, ma speriamo più sicuri”. Si stima che almeno 24 cristiani siano stati uccisi a Gaza in questi mesi di guerra, la maggior parte di loro vittime del bombardamento della chiesa greco ortodossa di san Porfirio.
I funerali delle due donne sono stati celebrati in chiesa poche ore dopo la loro uccisione, “non appena – spiega suor Nabila – Israele ha permesso la rimozione dei loro corpi”. Oggi riposano nel piccolo cimitero situato dentro l’area parrocchiale. La paura di essere colpiti ha spinto praticamente tutti i cristiani ad occupare le parti più interne della parrocchia:
“Dormiamo negli androni e nelle scale, molte famiglie si ritrovano a riposare in chiesa. Intorno a noi sentiamo il rumore dei cingolati dei carri armati. Nessuno esce per paura di essere colpito dai cecchini. Alle 16 entra una sorta di coprifuoco interno alla parrocchia. I bombardamenti non si fermano mai. Non sappiamo come finiremo”.
Arriva un’altra foto, mostra l’altare della chiesa. Non c’è il presepe ma solo le candele delle domeniche di Avvento. In attesa del Bambino: “Mancano pochissimi giorni al Natale, ci aggrappiamo a Gesù per avere speranza. Egli è la nostra unica forza. A Natale il mondo preghi per gli innocenti di Gaza e per la pace”.