Quando sembravano quasi perse le speranze, è stato trovato l’accordo per il documento finale approvato alla Cop28, che si è svolta a Dubai ed è terminata mercoledì 13 dicembre, con un giorno in più del previsto proprio per trovare un compromesso che soddisfacesse tutti. La parola chiave è “transizione”: non “eliminazione” o “phase out” in inglese, ma ugualmente un termine che chiede di “avviare la transizione verso l’abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050 in linea con la scienza”. Il documento finale della Conferenza Onu sul clima segna, dunque, una svolta con l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili. Con ventiquattro ore di ritardo sulla tabella di marcia, il testo è stato approvato dalla plenaria dei 197 Paesi più l’Unione europea (Ue) senza alcuna obiezione. Con Simone Morandini, vice direttore dell’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia e membro del Tavolo di studio “Custodia del Creato” della Cei, tracciamo un bilancio della Cop28.
Come possiamo valutare il compromesso raggiunto nel documento finale?
Non c’è dubbio che da questa Cop28 emergono alcuni elementi di positiva novità rispetto a quella dell’anno scorso. Si tratta di passi che ci orientano nella giusta direzione ma che da soli non sono ancora sufficienti per mettere in sicurezza la stabilità climatica e l’abitabilità del pianeta per le future generazioni. Quindi, potremmo guardare a un bicchiere mezzo pieno rispetto alle premesse e al rischio di fallimento, perché senza dubbio si sono fatti passi avanti. Potremmo vedere, d’altra parte, un bicchiere che è in parte vuoto, nel senso che di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio e i prossimi passaggi di negoziazione, gli accordi in cui prenderanno forma le dichiarazioni di questa Cop saranno determinanti. Certo, è notevole il fatto che, come è stato giustamente sottolineato dal presidente del vertice, il sultano Ahmed al-Jaber, per la prima volta nei testi delle Cop entri esplicitamente l’idea di andare al di là dei combustibili fossili. Si è molto dibattuto se dire “phasing out” o “phasing down”, cioè eliminare gradualmente oppure ridurre gradualmente i combustibili fossili, alla fine si è scelta un’espressione diversa: “transitioning away”, in italiano forse potrebbe essere tradotto come “una transizione che ci porti fuori dai combustibili fossili”. Interessante è anche “away” che indica proprio che bisogna andare “via” dai combustibili fossili. Credo che sia significativa la scelta del linguaggio, che si traduce poi in una serie di indicazioni concrete: l’impegno a triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030 e a raddoppiare l’efficienza energetica con la stessa scadenza. Non è poco: sono indicazioni forti queste. Certo, contemporaneamente, sono impegni che ancora devono prendere forma in passaggi concreti, progressivamente tradursi in impegni da parte dei singoli governi nella loro realizzazione.
Nei giorni scorsi avevano destato sconcerto alcune dichiarazioni del sultano al-Jaber, secondo cui non ci sarebbe alcuna scienza che indichi che l’abbandono graduale dei combustibili fossili permetterebbe di mantenere l’aumento delle temperature entro 1.5 °C e, anzi, questo scenario finirebbe per riportare il genere umano al tempo delle caverne…
Alla fine queste dichiarazioni non hanno avuto alcun peso sul documento finale, in cui c’è chiaramente un riferimento alle emissioni carbonifere da contenere e l’accentuazione delle energie rinnovabili. Un’osservatrice attenta e interessata come la spagnola Teresa Ribera commentando il documento dice che è “l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili”. È l’inizio della fine: quindi, non vuol dire che siamo già liberi, ma che è stata data questa indicazione che è abbastanza epocale. In questo senso,
c’è stato un salto di qualità nel progressivo sviluppo dei negoziati.
Possiamo parlare di accordo “storico”, come ha detto il presidente del vertice?
È un risultato potenzialmente storico, poi bisognerà capire quanto adesso si darà seguito con buone pratiche concrete in una negoziazione specifica.
Si sottolinea la necessità di accelerare nelle tecnologie a zero e a basse emissioni e questo è buono di per sé, però si inseriscono tra le tecnologie atte a realizzare il risultato non solo le energie rinnovabili, ma anche il nucleare e le tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura del carbonio. Ho molti dubbi sulla effettiva sostenibilità del nucleare, mentre le tecnologie di abbattimento e rimozione del carbonio pongono il rischio di distrarre l’attenzione dall’uscita reale dai combustibili fossili, nel senso che sono tecnologie costose, ancora difficili da implementare, la scelta di inserirle nel pacchetto di mitigazione, citandole esplicitamente, può lasciare qualche incertezza. Ma non c’è dubbio che al primo posto tra le tecnologie di basse emissioni sono citate le energie rinnovabili, immediatamente dopo c’è questa idea della “transitioning away” dai combustibili fossili.
Abbiamo fatto passi avanti per lasciare un mondo più sostenibile alle nuove generazioni o, come ha commentato qualcuno, il cammino è ancora accidentato?
Condivido questa preoccupazione, perché, come ho detto dall’inizio, c’è ancora molto lavoro da fare. Lo stesso riferimento all’energia prodotta dal carbone non abbattuto significa che si può continuare a usare il carbone, a condizione che si usino tecnologie di cattura delle emissioni di anidride carbonica relative ad esso. Pericoloso anche questo: rischia di creare alibi nei confronti di quei Paesi, come la Cina, che dipendono ancora in modo potente dal carbone, quindi ci sono problemi. Un elemento univocamente positivo è un inizio di quantificazione dei fondi per il Loss & Damage. Se ne era parlato nella Cop del 2022, ma senza attivare un effettivo finanziamento da parte dei Paesi avanzati. Quest’anno, invece, si è iniziato a parlare di cifre significative. Su questo versante c’è stato un progresso. Chiaramente in questo caso si lavora sul fronte dell’adattamento e del ripristino. Credo che il cammino delle Cop sia importante se ci conduce a sforzi di mitigazione efficace, altrimenti rischiamo di rincorrere sempre un risultato con adattamento e riparazione di situazioni climatiche che sempre peggiorano senza mai riuscire a chiudere il cerchio.
Se non fosse stato per un problema di salute, anche il Papa avrebbe partecipato alla Cop, alla quale comunque è intervenuto con un discorso poi letto dal card. Pietro Parolin.
Il discorso del Papa è molto potente e molto incisivo.
Ci potremmo chiedere se in qualche modo, nonostante non sia potuto intervenire di persona, il lavoro che il Papa ha fatto con la Laudate Deum e anche con la scelta di andare a Dubai, anche se non realizzata, non sia stato uno degli elementi – certamente non l’unico – che ha contribuito a creare un clima positivo. Diciamolo francamente: con lo svolgimento di una Cop in un Paese produttore di petrolio, in un tempo di tensioni internazionali come mai negli ultimi decenni, c’erano tutte le premesse per un fallimento. In questo senso capisco quelli che cantano vittoria per risultati che non sono forse il massimo ma sono comunque importanti. Per questo c’è da chiedersi se anche questa volta, come per la Cop21, Papa Francesco non abbia in qualche misura contribuito al risultato.
Qualche auspicio per la Cop29, in programma a Baku, in Azerbaijan, tra l’11 e il 22 novembre 2024?
Speriamo che si prosegua in questa direzione, si dia corpo a quanto stabilito, con scadenze più puntuali, che si lavori anche sulle emissioni di metano, che si proceda effettivamente all’eliminazione di sussidi ai combustibili fossili. Anche il nostro Paese ha una sussidiazione nei confronti del petrolio, del carbone, del gas metano: se da un lato possiamo comprendere le motivazioni sociali, le esigenze economiche, dall’altro tuttavia questa scelta non favorisce una reale transizione ecologica in direzione di un’economia sostenibile e circolare. Questa è un’area sulla quale c’è molto da lavorare: chiaramente si toccano interessi economici consolidati e le resistenze ci saranno, ma penso che sia un ambito importante. L’altra area da non tralasciare è il lavoro sugli stili di vita personali e comunitari. In questi giorni ci concentriamo giustamente sulle responsabilità delle politiche nazionali e internazionali, ma esse funzionano solo se, al contempo, c’è un cambiamento socioculturale nelle pratiche della società civile.