L’Africa è in assoluto il continente più vulnerabile agli impatti causati dal Global warming.
Nonostante abbia contribuito in misura minore al riscaldamento globale rispetto ad altri continenti e le sue emissioni siano relativamente basse, l’Africa deve misurarsi continuamente con danni d’ogni genere prodotti dai cambiamenti climatici.
Secondo il Climate Change Vulnerability Index, su 33 regioni nel mondo che presentano un rischio estremo a causa dei cambiamenti climatici, 27 sono in Africa. Eppure, leggendo i dati dell’Atlante mondiale del carbonio, l’intero Continente africano contribuisce solo con il 4/4,5% alle emissioni di gas serra. Basti pensare che l’America, il secondo Paese per emissioni al mondo, ha su tutto il suo territorio un indice di vulnerabilità bassissimo. Emblematico è quanto sta avvenendo lungo le coste dell’Africa Occidentale dove l’erosione e le mareggiate minacciano sempre più le comunità locali dedite tradizionalmente alla pesca. C’è da considerare che, nel suo complesso, la macroregione subsahariana è particolarmente esposta ad eventi estremi. Ad esempio, le siccità sono aumentate di quasi tre volte tra il 2011 e il 2021, rispetto al periodo 1971-1981, e al contempo, nello stesso periodo, la frequenza delle inondazioni ha subito un incremento di quasi dieci volte.
Purtroppo la stragrande maggioranza dei Paesi africani manca di strategie e politiche di adattamento climatico per affrontare la crescente frequenza dei disastri naturali. Si ritiene che il Continente, essendo altamente vulnerabile, perda tra il 10% e il 15% del suo prodotto interno lordo a causa dei cambiamenti climatici. Molto interessanti sono i risultati di una recente indagine della Banca europea per gli investimenti (Bei) su questo tema. Partendo dal presupposto che occorre rinnovare il sistema finanziario globale per mobilitare in modo più equo le risorse a vantaggio dei Paesi che, eufemisticamente, si trovano nell’occhio del ciclone, l’indagine della Bei sul clima mostra che per milioni di persone nel continente africano, i cambiamenti climatici stanno avendo un impatto estremamente negativo sulla vita quotidiana, come nel caso dell’accesso all’acqua e la garanzia del cibo, per non parlare del crollo dei redditi e la mancanza in termini generali dei mezzi di sussistenza.
L’88% degli africani intervistati ritiene che il cambiamento climatico stia già influenzando la loro vita quotidiana; il 61% è convinta che il cambiamento climatico e i danni ambientali connessi abbiano influito sul loro reddito o sulla loro fonte di sostentamento; il 76% afferma che le energie rinnovabili dovrebbero avere la priorità. Lo studio della Bei conclude sottolineando che “esiste un chiaro consenso sulla via da seguire: più di tre quarti degli intervistati affermano che per prevenire il riscaldamento globale, le economie devono dare alla decarbonizzazione una priorità assoluta”. L’Africa ospita attualmente il 60% delle migliori risorse solari a livello globale, ma solo l’1% della capacità solare fotovoltaica installata. Il solare fotovoltaico – che già oggi viene considerato come fonte energetica più economica in molte parti dell’Africa – se arriveranno gli investimenti potrebbe superare tutte le altre fonti africane entro il 2030. Un piano Marshall o Mattei che dir si voglia per l’Africa non può prescindere da queste considerazioni. Altrimenti sarà inutile dire che “intendiamo aiutare gli africani a casa loro”. Una cosa è certa: da una parte pretendiamo sempre di più dalla natura, sapendo bene però che non saremo mai in grado di restituirle ciò che le abbiamo sottratto, insolventi come siamo rispetto al cosiddetto “debito ecologico”.