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L’appello alle istituzioni del card. Álvaro Ramazzini Imeri: “Ci interessa il futuro del Guatemala e della gente”

“Mi rivolgo al Parlamento e alla Corte suprema: il destino del Paese e dell’ordine democratico è nelle vostre mani”. L’autore dell’accorato appello è il cardinale Álvaro Ramazzini Imeri, vescovo di Huehuetenango, in Guatemala, riconosciuta autorità morale nel Paese. Il card. Ramazzini assiste al primo vero tentativo da 70 anni a questa parte di realizzare in Guatemala una democrazia compiuta e una società più equa. Dopo le elezioni di agosto è iniziato un chiaro tentativo di “golpe al rallentatore”, con uno stillicidio di accuse e delegittimazioni che hanno riguardato il candidato del partito progressista “Semilla”, Bernardo Arévalo

(Foto ANSA/SIR)

“Mi rivolgo al Parlamento e alla Corte suprema: il destino del Paese e dell’ordine democratico è nelle vostre mani”. L’autore dell’accorato appello è il cardinale Álvaro Ramazzini Imeri, oggi vescovo di Huehuetenango, in Guatemala, riconosciuta autorità morale nel Paese, che pure, in un momento difficile per la democrazia, afferma di sapere con sicurezza che si sta tramando per chiedere anche per lui un mandato d’arresto. Una notizia che in questi giorni tiene banco su tutte le prime pagine del Paese. Ramazzini aveva sei anni nel 1954, quando un colpo di stato militare, pesantemente appoggiato dalla Cia, pose fine al Governo democraticamente eletto, che aveva redistribuito la terra incolta delle grandi élite fondiarie agli agricoltori. L’attuale cardinale ha trascorso la giovinezza e i primi anni del suo ministero sacerdotale a difendere con coraggio i più poveri e indifesi, mentre il Paese era nella tenaglia di una delle dittature più lunghe ed efferate del Continente americano, ed era dilaniato da una guerra civile proseguita fino a metà anni Novanta, un conflitto tra i più dimenticati del ventesimo secolo, sfociata in un genocidio, con la morte di 200 mila civili e numerosi atti di pulizia etnica. Di anni ne aveva cinquanta, ed era già vescovo, quando, nel 1998, a due anni dalla “teorica conclusione” del conflitto, il confratello nell’episcopato Juan José Gerardi, definito il “Romero dimenticato”, fu trucidato da parte di apparati statali.

La vittoria “imprevista” di Arévalo e il “golpe al rallentatore”. Ora che di anni ne ha 75, il card. Ramazzini assiste al primo vero tentativo da 70 anni a questa parte di realizzare in Guatemala una democrazia compiuta e una società più equa, dato che i Governi “formalmente democratici” che si sono succeduti negli ultimi 25 anni ben poco hanno fatto per spazzare via il dominio delle oligarchie, perpetuando pratiche di corruzione e privilegi. Ma anche ai tentativi di vanificare questo sforzo, e di tacitare con la forza anche la sua voce, la più autorevole nella Chiesa guatemalteca. Lo scorso agosto, è accaduto l’imprevedibile: il candidato del partito progressista “Semilla”, Bernardo Arévalo, peraltro dal profilo moderato, ha nettamente vinto il ballottaggio delle elezioni presidenziali, dopo essere “miracolosamente” passato allo “sport nazionale”, quello di impedire preventivamente di correre alle elezioni ai candidati non appartenenti al “club” dei soliti noti (come era toccato alla leader indigena Thelma Cabrera), ed essere giunto secondo al primo turno, con circa il 15% dei voti, in uno scenario di enorme frammentazione (e dopo un’attesa di ben tre settimane per conoscere i risultati ufficiali). La vittoria nel decisivo ballottaggio del 20 agosto contro Sandra Torres è stata netta (circa il 60% dei voti) e regolare, secondo il Tribunale elettorale e gli osservatori internazionali.

Ma da quel momento, complice la lunghissima “transizione” prevista nel Paese (il giuramento di Arévalo è previsto il 14 gennaio 2024), è iniziato un chiaro tentativo di “golpe al rallentatore”, con uno stillicidio di accuse e delegittimazioni che hanno riguardato Arévalo, la vicepresidente eletta Karin Herrera, il partito “Semilla”. Una volta che il Tribunale elettorale ha decretato la vittoria di Arévalo, si è tentato di delegittimare questa istituzione, quindi il partito “Semilla” ha perso la propria “soggettività” per accuse di irregolarità nei finanziamenti elettorali, infine la procuratrice generale Consuelo Porras ha chiesto di privare dell’immunità giudiziaria Arévalo e Porras. Da settimane, sono in corso nelle città manifestazioni a favore del presidente eletto.

L’appello del cardinale. Riuscirà Arévalo a prendere possesso della presidenza, fermo restando che lo attende un cammino difficilissimo, non avendo comunque i numeri dalla sua parte in Parlamento? È quanto di augura il cardinale Ramazzini, intervistato dal Sir, che rivolge un appello a tutte le Istituzioni: “Le democrazie si reggono sull’equilibrio tra poteri. La vittoria di Arévalo è stata considerata in modo unanime regolare, si è manifestata la chiara volontà degli elettori. Ora, a mio avviso, è tutto nelle mani del Parlamento, che in gennaio dovrà ratificare l’insediamento del nuovo presidente, e della Corte suprema. Ho fiducia che agiscano per il meglio, da quest’ultima Istituzione mi aspetto un segnale chiaro”.

Il cardinale si tiene a sottolinearlo: “Non si tratta di esprimere posizioni politiche, ma di riconoscere ciò che tutti hanno visto, il risultato di elezioni regolari. Subito sono stati agitati spettri, noi abbiamo un detto: si sta cercando la quinta zampa del gatto, quando tutti sanno che ne ha solo quattro! Nessuno sta mettendo in discussione i risultati delle elezioni comunali per esempio. Perché accade questo? Si mette in conto che il nuovo presidente attui una politica di rottura con il passato. Il livello di corruzione nel Paese è senza vergogna, da decenni non vengono messe in atto politiche per affrontare il problema della povertà, che coinvolge la grande maggioranza della popolazione. Chi finora al potere teme che si aprano gli armadi. Per esempio, il presidente uscente Alejandro Giammattei aveva parlato di un milione e 200 mila dollari giunti nel Paese nell’ambito degli aiuti per affrontare il Covid-19. Ma non si è mai saputo dove siano finiti. È una domanda, sia chiaro, non un’accusa”.

Il vescovo è impressionato dalla “furia giudiziaria” che si è abbattuta sui vincitori, in un Paese noto per garantire “impunità” ai poteri forti. “La procuratrice Porras è una cattolica praticante, mi stupisce che si comporti in modo contrario ai suoi principi, si rischia di andare verso il discredito del sistema giudiziario, e sono preoccupato per le reazioni dell’opinione pubblica, la maggioranza della gente percepisce i riflessi di questa situazione, senza avere gli strumenti per un’analisi critica”.

Le prese di posizione della Chiesa e degli organismi internazionali. La Chiesa guatemalteca, a partire dalla Conferenza episcopale, si è più volte espressa per il rispetto della volontà popolare. “A noi interessa il futuro del Paese e della gente – precisa il card. Ramazzini – , i temi della lotta alla povertà, alla corruzione, al narcotraffico, che, come vedo personalmente, spadroneggia al confine con il Messico e gestisce il traffico dei migranti. La gente fugge da Paese, ma questo si attenuerebbe, se la situazione migliorasse. Al momento, a tenerci in piedi sono le rimesse dall’estero dagli emigrati negli Usa. Il nuovo presidente non potrà fare miracoli, si potrà procedere solo per piccoli risultati, Arévalo mi sembra consapevole di questo”.

Non si tratta, in tutta evidenza, di prese di posizione “di parte”. Del resto, in difesa della scelta degli elettori guatemaltechi si sono pronunciati tutti gli organismi internazionali: l’Onu e l’Organizzazione degli Stati americani, l’Unione europea e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, la Corte interamericana per i diritti umani, che ha denunciato “l’esercizio abusivo del potere da parte dei giudici”. Perfino 28 ex presidenti di Spagna e Paesi latinoamericani di orientamento conservatore hanno preso posizione, auspicando il rispetto della vittoria di Arévalo. “Ho incontrato anch’io la delegazione dell’Unione europea, e negli Usa ho avuto colloqui con ambienti del Dipartimento di Stato. Si tratta di prese di posizione importanti, ma auspico ora una pressione ancora più forte, soprattutto dal punto di vista economico e commerciale. Credo sia questa la strada da percorrere a livello internazionale”.

(*) giornalista de “La vita del popolo”

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