Soldati, poliziotti, preti, donne, ultraortodossi, laici, cristiani, “tutti uniti”, in fila, per donare il sangue “in un momento decisivo che separa la vita dalla morte”. In Israele sotto attacco, a raccontare questa storia di solidarietà e amicizia è padre Benedetto Di Bitonto, sacerdote responsabile della comunità dei cattolici di lingua ebraica a Gerusalemme, che appartiene al Vicariato “San Giacomo per i cattolici di lingua ebraica”, parte integrante del Patriarcato latino di Gerusalemme. Donare il sangue è “un atto di amore cristiano” afferma il sacerdote che spiega: “in questo momento difficile negli ospedali ci sono tanti feriti che hanno bisogno di sangue”.
“Per questo motivo, lunedì 9 ottobre, siamo andati con padre Tiago, padre Michael ed Eliam nel centro di raccolta sito nella vicina Arena, nella zona di Malha, a pochi minuti di distanza dalla nostra casa di Simeone e Anna. Davanti a noi una fila lunghissima, silenziosa, che attendeva già sulla scalinata che conduce al cortile del Palazzetto dello Sport. Siamo rimasti lì in coda per nove ore e mezza”. Ma padre Benedetto non rimpiange “neanche un minuto di essere stato lì, è stata davvero un’esperienza unica, come non ne avevo vissute nei quasi 13 anni che vivo in Israele. È risaputo che gli israeliani e le file non sono molto amici, ma ieri non solo tutti sono rimasti pazienti e non hanno cercato di spingere, ma anche quando c’è stato l’allarme e siamo dovuti correre a ripararci all’interno, ognuno è ritornato al proprio posto con eccezionale rispetto e gentilezza”.
Il tempo di attesa è trascorso con i volontari del Magen David Adom (la Croce Rossa israeliana) che offrivano acqua alle persone in attesa mentre, aggiunge padre Benedetto, “nelle prime ore del pomeriggio la gente ha iniziato spontaneamente a offrire cibo: panini, mele, ghiaccioli che tingono lingua e labbra di blu. Iniziative private di persone che hanno deciso di venire a rendere più facile per gli altri il lento cammino verso la donazione. Ad un certo punto è arrivato un musicista con chitarra e impianto di amplificazione e ha iniziato a suonare per noi canti di incoraggiamento”.
Il tutto condito da “pioggia, vento e un allarme missilistico che ci ha costretti a correre dentro la cucina di una vicina panetteria con il proprietario che con velocità e forza ha spinto tutti quelli che erano fuori ad entrare”. Tante ore trascorse insieme in coda ha trasformato il tempo di attesa in tempo di conoscenza e di condivisione: “nell’arena già cominciavamo a sentirci una famiglia con i nostri compagni, mentre si avvicinava il nostro turno. Alla fine è toccato a noi e siamo entrati: tre preti cattolici, un Hasid Gur, un ultraortodosso della comunità Hasidica, e un ragazzo laico che hanno trascorso insieme il tempo, in attesa di donare il sangue. Ecco come dovrebbe essere sempre la realtà, questo è il potenziale d’Israele” dice convinto padre Benedetto che conclude: “Invitiamo tutti coloro che possono a donare il sangue. Non dimenticheremo questo giorno, ma speriamo di dimenticare l’orrore di questo periodo”.