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Niger: i soldati francesi iniziano il ritiro. Il missionario Armanino: “A Niamey appare come una grande vittoria sul passato (e presente) coloniale”

Dopo il golpe militare del 26 luglio che ha deposto il presidente Mohamed Bazoum, la giunta al potere ha chiesto il ritiro dell'ambasciatore e delle truppe francesi che erano in Niger oramai da anni. L'operazione inizierà in settimana e si concluderà entro fine anno. Parla al Sir da Niamey padre Mauro Armanino, antropologo, etnologo e missionario alla guida di una piccola comunità di cattolici, quasi tutti migranti di origine africana

Padre Mauro Armanino - (Foto M.Armanino)

Inizierà in settimana il ritiro delle truppe francesi dispiegate da anni in Niger, circa 1400 soldati. Dopo il golpe dello scorso 26 luglio, con l’estromissione dell’ex presidente Mohamed Bazoum, ancora detenuto, la giunta militare al potere ha chiesto primo il ritiro dell’ambasciatore francese e poi dei militari, da completare entro la fine dell’anno. “Dal punto di vista orgoglio nazionale la partenza dei militari francesi appare come una grande vittoria sul passato (e presente) coloniale, come girare la pagina del libro ‘indipendenza’ reale! C’è dunque fierezza per il ruolo giocato dalla ‘piazza’ con i presidi ininterrotti presso le basi militari francesi sulla strada dell’aeroporto internazionale di Niamey”, racconta al Sir da Niamey padre Mauro Armanino, missionario della Società delle Missioni Africane, da dodici anni alla guida di una piccola comunità cattolica costituita soprattutto da migranti africani. “Buona parte della società civile – prosegue – si è allineata al potere dei militari per convinzione o per interesse ma soprattutto per la stanchezza nei confronti del regime precedente, che in 12 anni è riuscito nell’impresa di smantellare una politica e un’economia degni di questo nome”. Ma il popolo nigerino “soffre per le sanzioni che durano da oltre due mesi e che implicano carenze di cibo, medicine e altri generi di mercanzie”.

Com’è la situazione e il sentire della popolazione nigerina riguardo all’uscita di scena dei francesi e quale scenario si profila?

Difficile esprimere tutto un Paese e un popolo che vive in maggioranza nelle zone rurali. Posso solo menzionare ciò che si percepisce nella capitale Niamey, che appare come un buon barometro della percezione. La gente del popolo soffre per le sanzioni che ormai durano da oltre due mesi e che implicano carenze di cibo, medicine e altri generi di mercanzie.

La riduzione dei flussi finanziari al mondo umanitario penalizza chi viveva di questi aiuti, specie in un contesto di carestia che tocca tutto il Sahel e il Niger in particolare.

La prima cosa è sopravvivere al quotidiano, specie adesso che sono ricominciate le scuole e che c’è da pagare in contanti per quanto occorre ai figli. Dal punto di vista orgoglio nazionale la partenza dei militari francesi appare come una grande vittoria sul passato (e presente) coloniale, come girare la pagina del libro ‘indipendenza’ reale! C’è dunque fierezza per il ruolo giocato dalla “piazza” con i presidi ininterrotti presso le basi militari francesi sulla strada dell’aeroporto internazionale di Niamey “Diori Hamani”! “La natura rifiuta il vuoto” si suol dire e sembra che alla porta si affaccino altri attori: a parte gli Usa, che hanno intelligentemente tenuto un profilo minore nei confronti del colpo di Stato e i cui militari sono stati spostati ad Agadez dove esiste una base militare con aeroporto con droni in grado di controllare l’intera Africa del nord e occidentale, ci sono la Turchia, la Russia, la Cina e chissà chi altri. Buona parte della società civile si è allineata al potere dei militari per convinzione o per interesse ma soprattutto per la stanchezza nei confronti del regime precedente, che in 12 anni è riuscito nell’impresa di smantellare una politica e un’economia degni di questo nome!

Il popolo degli umili offre una resistenza silenziosa e quotidiana degna di nota

e segno particolare della squisita dignità che ha da sempre accompagnato i nigerini che la sabbia, il vento, la polvere e le prove dell’insicurezza legata ai gruppi armati ha reso capace di soffrire in silenzio e vivere di attesa di tempi migliori.

C’è davvero la possibilità di una transizione verso un governo civile, come auspicato da alcuni mediatori?

C’è un primo ministro che aveva lavorato con il presidente deposto nel 2010, Mahamadou Tandja, un governo, con militari e civili e adesso si attende la promessa concertazione nazionale delle “forze vive” o comunque di realtà che esprimono il vissuto anche per arrivare, si pensa, ad una nuova costituzione più aderente alle aspirazioni locali. Recentemente il presidente della giunta, Abdouhramane Thiani, ha comunicato nelle due lingue locali maggioritarie, lo Zerma e l’Haussa e questo è piaciuto e interrogato sul futuro della lingua francese nel Paese.

La transizione è auspicata dalla gente che vorrebbe ritornare a vivere senza sanzioni e timori di attacchi eventuali.

Proprio giorni fa un ennesimo attacco di gruppi armati ha seminato la morte tra i militari e causato circa 150mila sfollati, senza contare le scuole chiuse e gli alunni dispersi altrove. Sono queste le preoccupazioni delle gente!

(Foto M.Armanino)

Qual è l’impatto di questi cambiamenti politici sulla vostra piccola comunità cattolica?

Per ora limitato. Le nostre comunità sono maggioritariamente composte da fedeli di origine straniera (Togo, Benin, Nigeria, Burkina Faso, Costa d’Avorio, ecc.), quindi

ci sono timori che gli “stranieri” diventino bersaglio perché assimilati agli “occidentali”, visto che nell’immaginario Francia=cristiani.

In prospettiva questi timori potrebbero rivelarsi fondati, nel caso in cui, così come successo altrove, i cambiamenti politici verrebbero intesi anche come ‘autenticità nigerina’ nella società che è al 98% legata all’Islam. Questo potrebbe implicare un abbandono della non confessionalità dello Stato, così come previsto dall’attuale costituzione, per andare verso qualcosa di più ‘rispondente’ allo spirito dell’Islam, con il rischio di un certo radicalismo. In effetti l’Islam di tipo sufi delle confraternite, assai tollerante, potrebbe essere battuto in breccia dalla correnti salafiste di matrice nigeriana, grazie a predicatori e soldi che arrivano da altrove e che, non da oggi, edificano moschee, scuole coraniche, università islamiche e aiuti umanitari.

La zona di confine col Burkina Faso, abitata dal popolo Gourmanché, la realtà più viva dal punto di vista cristiano di tutto il Niger, è quella più bersagliata dai gruppi armati e le comunità sono a tutt’oggi perseguitate a motivo della fede.

Black out energetici, povertà, malnutrizione, insicurezza causata dal jihadismo, migranti, i problemi del Niger sono tanti e di difficile soluzione, quali sono prioritari?

Vivere! Vivere e vivere: sono queste le tre priorità del popolo del Niger… ma vivere con dignità, quella che è stata confiscata, tradita e svenduta troppo spesso in questi anni ai migliori acquirenti! Milioni di persone con carenze alimentari e circa la metà della popolazione in situazione di povertà. Le statistiche sono sempre senza appello: siamo i buoni ultimi del pianeta in termini di sviluppo umano e di povertà multidimensionale, si spera che questo cambi e cambierà se da parte delle nuove autorità e della comunità internazionale, in particolare quella dell’Africa Occidentale (Cedeao/Ecowas) termineranno le sanzioni e le frontiere torneranno ad essere ciò per cui sono state inventate: un luogo di transito, incontro e scambio. Adesso sono semplicemente un luogo di ladrocinio perché la gente passa (di frodo) però deve pagare delle fortune. E questo le nuove autorità lo sanno e tacciono: non è un bel segno!

Quanto al tema sicurezza dai gruppi armati è semplicemente cruciale perché i gruppi sono a circa 50 chilometri dalla capitale.

Non è pensabile che ciò accada ormai da anni, occorre un cambiamento di paradigma che implica l’abbandono della guerra come soluzione alla guerra. Perché proprio di guerra si tratta: con motivazioni religiose, economiche, territoriali, ideologiche e dunque da affrontare a tutti questi livelli! I migranti sono tra i dimenticati della crisi semplicemente perché messi tra gli ‘invisibili’ del sistema, tra la zavorra o le frange “vendibili” per eventuali commerci con l’Occidente, sempre attento a estendere le sue frontiere fino al Sahel!

(Foto M.Armanino)

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