Annullato il risultato elettorale del 26 agosto, che aveva garantito un terzo mandato al presidente uscente Ali Bongo, e proclamata la “dissoluzione di tutte le istituzioni del Paese”, inizia nel Gabon una nuova era. Segnata dalla transizione militare affidata alla giunta golpista di Brice Oligui Nguema, leader della Guardia Repubblicana. Nel piccolo Paese dell’Africa occidentale (grande circa la metà della Francia), a due giorni dal colpo di Stato è tornata un po’ di calma. Ma resta l’incertezza.
“La sola agitazione che vedo è la contentezza di molte persone in strada che desiderano il cambiamento. Qui tutto appare calmo in questo momento, in strada non ci sono violenze”, ci racconta al telefono dalla terza città del Gabon, Franceville, una fonte missionaria che vuole restare anonima.
“Fate rumore! Fatevi sentire!”: era stato l’appello lanciato sui social da Ali Bongo, che chiedeva sostegno. Per ora le manifestazioni locali però sono contro di lui.
La parola d’ordine per i giovani gabonesi è “cambiamento”: uscire dallo stallo ed iniziare una vita degna.
Chiedono di potersi mantenere, mettere su famiglia e veder rispettato il voto. Tuttavia, dice la fonte, i gabonesi “hanno sempre avuto rispetto per il vecchio presidente, per Omar Bongo. I problemi sono iniziati nel 2009-2010 con l’elezione di suo figlio, Ali Bongo, e con l’avanzare del declino economico”.
Il Gabon è un Paese “ricchissimo di petrolio, manganese, ferro, spettacolari risorse naturali e parchi, dove però le scuole non bastano”, spiega. Un paradiso potenziale dove peraltro non ci sono mai stati contrasti religiosi: “Le tre fedi, cristiana, musulmana ed animista vanno d’accordo”, spiega il nostro interlocutore. “Abbiamo tanti parchi nazionali e riceviamo turisti dall’Occidente. Ci sono mangrovie, spiagge e animali selvatici”. Ma anche il turismo non rende come dovrebbe.
La domanda di istruzione primaria dal duemila è cresciuta molto con l’aumento della popolazione, nei villaggi però non ci sono scuole né ospedali sufficienti. “Per studiare i giovani vanno all’estero. Le famiglie si indebitano per mandare i loro figli in Senegal, in Ruanda, persino in Nord Africa, in Marocco”, dice il missionario. Ma che ne è di tutti i proventi del petrolio? La produzione media di greggio al giorno è di 211mila barili di petrolio, una cifra non da poco considerato che il Qatar ne produce 595mila. Tuttavia, non c’è redistribuzione e non si investe in spesa pubblica. L’ennesima gestione personalistica del Pil. “Molti ragazzi vorrebbero frequentare l’università ma sfortunatamente servono molti soldi e così abbandonano… Sanno che non troveranno nessun lavoro. Noi missionari offriamo la possibilità di formazione professionale: elettricista, cuoco, falegname”.
La storia politica del Gabon è piuttosto lineare: partito unico e famiglia dinastica al potere per 56 anni. Il Parti Démocratique Gabonais, fondato nel 1967 da Omar Bongo, padre del presidente deposto, non ha maia accettato opposizioni. “Quasi sessanta anni di un solo partito sono tanti e l’opinione pubblica voleva che ci fosse un’alternanza”, spiega la fonte missionaria che conosce molto bene la storia pregressa. Il ricorso al colpo di Stato è una prassi estrema e diffusa sempre di più in Africa. “Naturalmente i colpi di Stato militari non sono la soluzione – ha dichiarato il rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell – ma non possiamo dimenticare che il Gabon ha avuto delle elezioni piene di irregolarità”.
“Questo è uno dei Paesi più ricchi di petrolio al mondo – ci spiega al telefono l’attivista congolese John Mpaliza che si occupa proprio di far luce sull’economia mineraria in Africa -. Petrolio e ricchezza di cui non ha mai beneficiato il popolo gabonese. Indovinate chi estrae questo petrolio e dove va a finire? In Francia”.
La libertà di stampa e d’espressione era una chimera sotto la dinastia Bongo: lo accertano i report di Reporter sans Frontiere che anche durante queste ultime elezioni avevano denunciato il fatto che la stampa estera era tagliata fuori dal processo elettorale. “Rsf condanna il rifiuto del governo gabonese di accordare qualsiasi tipo di accredito stampa ai giornalisti stranieri per coprire le elezioni del 26 agosto”, si legge in un comunicato. Non si tratta comunque della prima elezione contestata: nel 2016 il candidato dell’opposizione di origini cinesi, Jean Ping aveva cercato di contrastare Ali Bongo ma non c’era riuscito. A suo dire in realtà avrebbe anche vinto le elezioni: “Il presidente del Gabon sono io, il risultato è frutto di brogli”, aveva denunciato Ping.
*redazione Popoli e Missione