E’ scaduto a mezzanotte l’ultimatum dei Paesi dell’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cedeao in francese), alla giunta militare che ha preso il potere in Niger con un golpe il 26 luglio scorso, deponendo il presidente Mohamed Bazoum. L’Ecowas minaccia un possibile intervento militare se i golpisti non dovessero reinsediare il presidente. Ma in queste ore fervono i contatti diplomatici, anche con l’Unione europea. “Un intervento armato sarebbe una follia”, commenta oggi al Sir dalla capitale Niamey padre Mauro Armanino, antropologo ed etnologo: “Nel caso ci fosse uno sciagurato intervento armato il timore è che si profili un’altra avventura come l’attacco alla Libia di Gheddafi, che è stato un disastro per tutto il nord Africa e il Sahel”. Il missionario della Società delle Missioni Africane, da dodici anni alla guida di una piccola comunità cattolica costituita soprattutto da migranti africani, si unisce all’appello dei vescovi del Burkina Faso e Niger, che in un messaggio con data 4 agosto hanno rivolto un invito al dialogo ed espresso la propria contrarietà all’intervento armato. “Speriamo si trovi una via di uscita negoziata e un accordo, che per ora non si intravede”, afferma padre Armanino. In Niger ci sono solo quattro missionari europei, di cui due a Niamey, che hanno hanno deciso di restare accanto alla popolazione.
“Un intervento armato sarebbe una follia e penso che tutti lo sappiano benissimo”,
precisa. Ieri a Niamey c’è stata una grande manifestazione a sostegno dei golpisti, che ha riunito nello stadio oltre 30.000 giovani. Anche se la notizia non è verificata al missionario sono inoltre giunte voci dell’arrivo di un aereo russo carico di armi.
Padre Armanino spera “ci sia la volontà di negoziare”. In questo momento in questa “ambigua transizione” la situazione “è di stallo”, per cui “è difficile fare previsioni al momento”. Di certo ci sono maggiori difficoltà per una popolazione già provata da fame, siccità, insicurezza. “Abbiamo lunghi black out che durano molto più del solito – racconta – con poche ore al giorno di corrente. Tra le sanzioni imposte c’è infatti il taglio della corrente da parte della Nigeria, che forniva circa il 60% dell’energia elettrica. Poi stanno aumentando i prezzi delle derrate alimentari e tra la gente sale la preoccupazione per questa situazione”.
A livello di interessi geopolitici c’è sicuramente “la paura della Francia e di altri Paesi occidentali di perdere strategicamente il controllo sul Niger, come già accaduto con il Mali e il Burkina Faso”. Tra la popolazione è anche diffuso un sentimento antifrancese. “Se questa situazione fosse rimasta nigerina sarebbe stato diverso – osserva il missionario -. Si è trattato di una rivoluzione di palazzo, che poi è diventata altro. Imporre con estrema rapidità le sanzioni, senza tentativi di mediazione, con toni arroganti da parte di alcune potenze occidentali tipo la Francia, spingono a radicalizzare le posizioni. In questo modo i nemici dei miei nemici diventano amici”.
Il Niger è un luogo strategico per le presenze militari occidentali, inoltre ci sono investimenti e interessi sulle materie prime, come l’uranio e il petrolio. “Tra qualche mese entrerà in funzione un oleodotto – ricorda -. Sono tutti aspetti che probabilmente hanno fatto da detonatore a ciò a cui stiamo assistendo”.
“La gente chiede un accordo, viste le difficoltà di un Paese che è già allo stremo”,
afferma padre Armanino. “Si spera che la cosa non vada troppo per le lunghe per non far soffrire un Paese già afflitto da vari mali”: “Ci sono milioni di persone che hanno difficoltà alimentari e problemi di sicurezza alle frontiere tra Niger, Burkina Faso e Mali. Speriamo la crisi non duri più del dovuto e si possa trovare una via di uscita negoziata e un accordo, che per ora non si intravede. Attualmente non c’è nessuna possibilità di uscita”.
La Chiesa locale è contraria ad un intervento armato. Nel frattempo le nuove autorità stanno incontrando i gruppi musulmani, la società civile. “Come preti non ci siamo ancora incontrati, la situazione è ancora molto fluida”. “Le nostre celebrazioni continuano in maniera regolare – dice – ma un po’ di timore c’è perché la maggior parte dei membri delle nostre comunità non sono nigerini ma vengono da Paesi limitrofi che fanno parte della Ceao. Nel caso ci fosse un attacco è chiaro che i cittadini di questi Paesi avrebbero difficoltà. Per cui si cerca di evitare qualsiasi dichiarazione o posizione che possa creare problemi”.
Anche la Nigeria si è detta contraria all’uso della forza. “Una posizione molto saggia – commenta il missionario -, anche per quanto riguarda la lotta comune agli estremisti di Boko haram. Il Niger ha legami stretti anche con il Benin, il Togo e altri Paesi.
Un attacco armato sarebbe veramente caotico per tutta la regione”.