“Ognuno di noi deve prenderla in seria considerazione affinché una tale vicenda non abbia mai più a ripetersi in futuro”. Con queste parole il presidente della Camera dei consiglieri giapponese Hidehisa Otsuji si esprimeva il 19 giugno scorso riferendosi alla Relazione parlamentare (qui il link al documento originale, in giapponese) su quella che alcuni quotidiani italiani, commentando la notizia, avevano definito una ‘vergogna’ del Giappone. L’indagine di 1.400 pagine, frutto di tre anni di lavoro, consegnata nel giugno scorso alle due Camere della Dieta nipponica, ripercorre e riassume la macabra storia delle sterilizzazioni forzate imposte su donne, uomini e persino bambini giapponesi con diverse disabilità in ‘ottemperanza’ alla “Legge sulla protezione dell’eugenetica“ rimasta in vigore 48 anni, dal 1948 fino al 1996 quando venne di fatto abrogata trasformandosi nella attuale “Legge per la protezione della salute della madre”. La normativa fu ispirata da quel ‘pensiero eugenetico’ che tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX si era diffuso in vari Paesi del mondo, dalle Americhe all’Europa, ed aveva raggiunto e all’epoca convinto anche politici, intellettuali, scienziati e gran parte dell’opinione pubblica del Sol Levante.
Le tesi eugenetiche di Francis Galton sviluppatesi nel 1883, insieme a quelle darwiniane e malthusiane, avevano già preso corpo in Giappone in una ‘Legge Nazionale eugenetica’ del 1940 che prevedeva la sterilizzazione ‘volontaria’ per i soggetti disabili mentali e fisici o per parenti entro il quarto grado portatori di qualche tipo di handicap. La successiva ‘Legge di protezione eugenetica’ del 1948, eliminato il requisito della volontarietà, sancì invece la sterilizzazione forzata, invocando i problemi demografici di sovrappopolazione con le conseguenti ricadute sulla tenuta economica e sociale del Paese, la carenza alimentare del dopoguerra, la presunta necessità di un miglioramento della razza da ottenere attraverso la nascita selezionata di soli soggetti sani capaci di contribuire a rendere il Giappone una grande Nazione ed il presunto ‘vantaggio’ che sarebbe dovuto derivare agli stessi disabili dalla sterilizzazione, in quanto ritenuti non in grado di crescere figli.
Alla Legge del 1948 non si oppose attivamente neanche il comandante supremo delle Forze alleate generale MacArthur, responsabile nel periodo post bellico di occupazione, di guidare il processo di democratizzazione, di revisione costituzionale e di riforma delle politiche economiche e sociali del Giappone uscito sconfitto dalla Seconda guerra mondiale. Proprio sotto la nuova Carta costituzionale approvata nel 1946, che nell’articolo 13 proclamava il rispetto di tutti gli individui ed “Il loro diritto alla vita, alla libertà ed al perseguimento della felicità, entro i limiti del benessere pubblico”, il legislatore varò la Legge di protezione dell’eugenetica. I 34 articoli della legge codificarono l’eugenetica “negativa” con sterilizzazione coatta e aborto selettivo tramite consenso di entrambe i coniugi, due strumenti ritenuti idonei ad impedire la procreazione di soggetti “difettosi” ed “ indesiderabili” e l’eugenetica “positiva” diretta invece a favorire la procreazione di soggetti “desiderabili” attraverso matrimoni tra individui geneticamente “sani” da promuovere per mezzo delle “Agenzie per i matrimoni eugenetici” istituite capillarmente su tutto il territorio nazionale.
La recente Relazione parlamentare ha documentato e ulteriormente evidenziato la disumana e folle politica nazionale intrapresa dai Governi dell’epoca, che addirittura sollecitarono le amministrazioni locali ad incrementare il numero di interventi chirurgici eugenetici, anche forzando le fattispecie previste dalla legge ed ingannando vittime e loro familiari. Se nel 1953 il numero di aborti aveva raggiunto la quota record di circa un milione, le sterilizzazioni, invece, non rispondevano alle aspettative governative. In un comunicato ai governi locali del dicembre 1953, spiega il documento, l’allora ministro della Salute registrava il mancato raggiungimento degli obiettivi numerici degli interventi eugenetici programmati e sollecitava i governi locali che, nel 1955, riuscirono ad ottenere il picco delle sterilizzazioni. Il numero ufficiale totale di sterilizzazioni nell’arco dei 48 anni di vigenza della Legge è arrivato a quota 25.000, di cui 16.500 coatte e 8.500 con il consenso spesso estorto con sistemi ricattatori. Le vittime furono per il 70% donne, molte delle quali adolescenti. I numeri stimati tuttavia sembrano essere molto superiori, pari a circa 85.000 a causa della ampia libertà con cui il personale medico poté agire “per il bene della società” con il beneplacito dello stesso ministro della Salute di allora che tranquillizzava la classe medica affermando, come riportato nel Rapporto parlamentare: “Può esser lecito ingannare il paziente”.
Solo nel gennaio 2018, sulla spinta dei movimenti interni e internazionali per i diritti umani attivi da molti anni, fu intentata la prima causa presso il tribunale di Sendai da una delle vittime della Legge per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Rotta la barriera dell’omertà, della vergogna e della discriminazione costruita in 50 anni, si è aperto un contenzioso tuttora in corso tra vittime, loro organizzazioni e Governo, nonostante l’approvazione della Legge di risarcimento forfettario approvata nel 2019, ma ritenuta iniqua dagli interessati, dal punto di vista procedurale, formale ed economico. Proprio nello stesso anno Papa Francesco visitava il Giappone e il 25 novembre, nella sua omelia alla messa celebrata al Tokyo Dome, toccava questi temi ed invitava la comunità cristiana a “dare il benvenuto a tutto quello che non è perfetto a tutto quello che non è puro né distillato, ma non per questo meno degno d’amore” e proseguiva ponendo questo interrogativo: “Forse che qualcuno per il fatto di essere disabile o fragile è meno degno d’amore?”.