L’accusa, in tutta evidenza pretestuosa, è quella di “riciclaggio”. L’intenzione, come appare in modo sempre più evidente, è quella di soffocare in modo “definitivo” la Chiesa cattolica in Nicaragua, di prenderla “per fame”, con l’obiettivo di silenziarla completamente, e di impedirle qualsiasi attività nel Paese. Il regime di Daniel Ortega, ormai da oltre due settimane, ha bloccato i conti bancari di numerose diocesi del Paese, della Conferenza episcopale, di altre realtà associative, formative, educative. Una decisione arrivata al termine di una settimana durante la quale si era assistito all’arresto di altri tre sacerdoti e al divieto di qualsiasi processione in occasione della festività di Santa Maria Ausiliatrice, il 24 maggio; una ricorrenza molto sentita, dato il ruolo molto importante dei salesiani nel Paese.
La conferma del blocco dei conti (pur senza precisare quali e quanti) è arrivata dalla stessa polizia di Ortega, che in una nota ufficiale comunica di aver avviato un’indagine su diverse diocesi cattoliche per presunto riciclaggio di denaro, che avrebbe gestito illegalmente “fondi e risorse provenienti da conti bancari” di oppositori condannati”. Sempre secondo la polizia, le indagini “hanno portato alla scoperta di centinaia di migliaia di dollari”, nascosti in strutture appartenenti a diocesi del Paese”. Le indagini, comunica la forza dell’ordine, “ha confermato la sottrazione illegale di risorse da conti bancari di cui la legge aveva ordinato il congelamento, oltre ad altre attività illecite che sono ancora in corso di investigazione come parte di una rete di riciclaggio di denaro che è stata scoperta nelle diocesi di diversi dipartimenti”.
Le parole del cardinale Brenes. Si legge inoltre che la Sovrintendenza bancaria ha chiesto alla Conferenza episcopale del Nicaragua e a quello che viene definito il “capo della Chiesa cattolica nicaraguense”, il cardinale Leopoldo Brenes (che in questo momento, in realtà, è primate del Nicaragua, in quanto arcivescovo di Managua, ma non presidente della Conferenza episcopale), di “presentare i documenti che mostrano i movimenti dei conti bancari delle diocesi”. Il card. Brenes, ancora durante l’omelia della messa di Pentecoste, il porporato ha invitato i fedeli “a non avere paura” e “alla calma”, senza “prestare fede a notizie esagerate”. Un’ulteriore conferma sul blocco dei conti èarrivato dalla Pastorale educativa dell’arcidiocesi di Managua, la quale ha annunciato che dal 7 giugno il Governo di Daniel Ortega paga, attraverso il Ministero dell’Educazione (Mined), gli stipendi degli insegnanti sovvenzionati che lavorano nelle scuole cattoliche che ricevono fondi dallo Stato.
In cinque anni un crescendo di persecuzioni. “Questa è l’ultima azione di un lunghissimo elenco – dice al Sir Martha Patricia Molina, ricercatrice, avvocata, componente del comitato di redazione della testata indipendente ‘La Prensa’, dal suo esilio statunitense -. Già da venerdì ho iniziato ad avere delle segnalazioni riservate da fonti ecclesiali, rispetto al blocco dei conti. Inizialmente tutti avevano pensato a dei problemi tecnici, poi si è capito che era stato messo in atto un vero e proprio blocco generalizzato. Il provvedimento, infatti, non riguarda solo la Conferenza episcopale e le diocesi, ma singole parrocchie, case di formazione, scuole. Questi sono giorni in cui in Nicaragua si pagano gli stipendi. Non so proprio come tutte queste realtà potranno andare avanti”.
Martha Patricia Molina è considerata un punto di riferimento per quanto riguarda le persecuzioni del regime contro la Chiesa nicaraguense. E’, infatti, la curatrice di un rapporto, “Nicaragua, una Chiesa perseguitata”, la cui terza edizione è stata presentata all’inizio di maggio. Sono ben 529 gli episodi di ostilità, e in molti casi di vera e propria persecuzione, che la Chiesa cattolica in Nicaragua ha subito negli ultimi 5 anni per mano del Governo guidato da Daniel Ortega, a partire dalle proteste popolari dell’aprile 2018. Il lungo elenco riferisce di un vescovo incarcerato, mons. Rolando Álvarez, vescovo di Matagalpa, 37 religiosi esiliati – tra cui un altro vescovo (mons. Silvio José Báez, ausiliare di Managua) e 32 religiose di varie congregazioni espulse. Nel Paese, inoltre è stato chiuso l’ufficio della Nunziatura vaticana. Lo studio descrive in dettaglio tutti i 529 attacchi avvenuti in questo arco di tempo: non solo arresti ed espulsioni, ma anche confische di beni ed edifici, chiusura di media e università, vere e proprie profanazioni, intimidazioni.
Sacerdoti sotto attacco. “Sto già lavorando alla quarta edizione del rapporto – spiega la ricercatrice -, visto che i dati riportati meno di un mese fa sono già ampiamente superati. Nell’ultima settimana, sono stati arrestati tre sacerdoti. Uno, padre Jaime Iván Montesinos, della diocesi di Matagalpa, si trova in carcere, nel famigerato ‘Chipote’, due sono a disposizione delle autorità in una struttura ecclesiale, padre Eugenio Rodríguez Benavides e padre Leonardo Guevara, della diocesi di Estelí. L’attenzione del regime è puntata soprattutto su coloro che hanno prestato servizio nelle Caritas, importante braccio operativo della Chiesa. In questo momento, in Nicaragua ci sono tre sacerdoti in carcere, compreso il vescovo Álvarez, e tre agli arresti domiciliari, oltre agli esiliati. Ai 37 si è aggiunto un sacerdote spagnolo che presta servizio a León. Recentemente, c’è stato un grave episodio di profanazione, mentre il 24 maggio la festa di Maria Ausiliatrice è stata celebrata solo dentro le chiese, senza processioni, come del resto era avvenuto durante la Settimana Santa, quando sono stati firmati addirittura 3.176 provvedimenti che proibivano processioni e manifestazioni pubbliche di fede al di fuori delle chiese. Una delle situazioni più paradossali è stata vissuta a Nindirí, dove è tradizione che i ragazzi di vestano da ‘cirenei’ in occasione del Venerdì Santo, per ‘aiutare Gesù a portare la croce’. La Polizia quel giorno ha impedito la processione e ha portato in carcere dei ragazzi, solo perché non avevano voluto rinunciare a questa bella tradizione”.
Conclude Martha Patricia Molina: “La Chiesa è perseguitata perché nel 2018 si è schierata con la gente, ha detto la verità. Ogni giorno, però, la situazione è sempre più complessa. In questo momento possiamo pregare, e parlare. È importante far conoscere in tutto il mondo questa situazione, che interpella anche la testimonianza dei laici, in un momento in cui, per le nuove imputazioni, tutti i vescovi del Paese potrebbero andare sotto processo e magari finire in carcere”.
*giornalista de “La vita del popolo”