Con il recente via libera del governo della Tanzania procede spedita la costruzione dell’oleodotto surriscaldato più lungo al mondo, controverso progetto petrolifero targato Total e partecipato dalla Cina. Si tratta dell’East African Crude Oil Pipeline (Eacop): 1.443 chilometri di tubi che attraverseranno tutta l’Africa orientale dall’Uganda alla Tanzania, per una spesa totale di 4 miliardi dollari. Il corridoio sarà largo 30 metri e la pipeline intersecherà laghi, foreste e villaggi abitati.
Nessun beneficio per il popolo. L’esecutivo guidato dal premier tanzaniano Kassim Majaliwa ha rotto gli indugi poche settimane fa, esprimendosi a favore della compagnia francese Total Energies e della cinese Cnooc. Le due multinazionali partecipano rispettivamente al 64% e all’8%; partecipano inoltre l’Uganda National Oil Company e la Tanzania Petroluem Development. “Il paradosso è che sotto terra passerà del petrolio di cui non beneficerà il popolo, ma nessuno costruirà per loro pozzi d’acqua”, denuncia la ong locale Pacodeio che si batte per i risarcimenti. “Presto dovremo trasferire i pascoli, perdiamo i nostri siti sacri e non abbiamo neanche l’acqua da bere”, racconta Samuel Robert, giovane Masai che vive nel villaggio di Kwamadule nella savana tanzaniana. L’intervista è parte di un progetto che raccoglie la voce di rappresentanti di diverse comunità dei popoli Masai e Akie da noi incontrate in loco.
La promessa del lavoro. Gli attivisti di Stop-Eacop, Fridays for Future e il Movimento Laudato Si’ da oltre un anno mettono in guardia sulle violazioni dei diritti umani e ambientali. Papa Francesco a marzo del 2022 aveva incontrato gli ambientalisti africani e li aveva sostenuti: da soli non riescono a boicottare i giganti delle multinazionali. “Lo chiamano sviluppo ma non serve a crescere poiché non crea lavoro – commenta con noi padre Riccardo Maria Riccioni, dei Piccoli fratelli d’Africa, missionario a Morogoro, in Tanzania –. Il governo di Dar es Salam riceverà soldi dall’estero ma a che costo per i locali?”. I benefici per i cittadini sono molto esigui, nonostante l’Eacop affermi di voler creare migliaia di posti di lavoro.
Così si uccide la pesca locale. L’oro nero verrà estratto dai giacimenti di Hoima sul lago Alberto in Uganda, fino al porto di Tanga, sull’Oceano Indiano, dove il greggio prenderà il largo per la Cina. La piattaforma sul mare è mastodontica e inibisce la pesca locale. Il giacimento avrà comunque vita breve: si esaurirà nel giro di 25 anni, come prevede la stessa Eacop, ed è decisamente in controtendenza rispetto all’indicazione dell’Ue di non investire più in combustibili fossili. Gli ambientalisti “fanno solo propaganda”, ha dichiarato di recente il ministro dell’Energia tanzaniano January Makamba. Eppure, il Parlamento europeo con la risoluzione del 14 settembre 2022 si è espresso in modo molto critico nei confronti dell’investimento: “L’estrazione di petrolio in Uganda genererebbe fino a 34 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio all’anno”. Sono “forti gli impatti sulle comunità che vivono nelle zone di estrazione del petrolio e di passaggio della pipeline. La frammentazione delle risorse idriche è uno di questi impatti”, avverte. “Le compensazioni per le comunità africane sono troppo basse”, ammonisce il Parlamento europeo.
40 dollari per la casa. Magdalena Leyani, una donna di cinquanta anni che vive nel villaggio di Kwamadule, in Tanzania, come “risarcimento” per l’abbattimento della casa e la sottrazione della terra riceverà appena 40 dollari, agli altri abitanti arriveranno cifre più alte fino ai 2mila dollari. Ma comunque al di sotto del danno. “Io qui coltivavo mais e fagioli”, ci ha raccontato la donna, mostrandoci un foglio firmato con la sua impronta digitale. Il problema è che ha accettato la transazione prima del 2019: da quella data in poi una serie di Ong Masai hanno iniziato a mediare, cercando risarcimenti più adeguati. La loro battaglia è tuttora in corso. Fatuma è una donna di 45 anni con sette figli: a lei e sua mamma hanno tolto la casa e la terra sulla quale crescevano alberi di mango. “Gli alberi sacri hanno un valore immenso per noi: il popolo Akie ritiene che lì ci sia Dio – ci spiega Adam Mwarabu della Ong Pacodeio –, ma il tracciato dell’oleodotto attraversa anche i siti sacri degli Akie e non c’è verso di farlo arretrare”. L’Eacop si è offerta finora di pagare le cerimonie religiose che serviranno a consacrare nuovi terreni e nuovi alberi.
*redazione Popoli e Missione