(Tokyo) Il Giappone, come e più dell’Italia, è alle prese con il problema del calo delle nascite. “Kodomo mannaka”, cioè una società con “i figli al centro”, è lo slogan che campeggia sul logo della nuova “Agenzia per l’infanzia e la famiglia”, istituita dal Governo del primo ministro Fumio Kishida e che da aprile è diventata il quartier generale delle politiche governative per combattere la denatalità, una lotta definita dal premier “il compito più importante” della sua amministrazione. I 799.728 nati del 2022 segnano il dato peggiore dall’inizio delle statistiche nel 1899, secondo i dati provvisori del ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare pubblicati a febbraio. Si stima, tuttavia, che il dato definitivo che sarà pubblicato a giugno potrebbe essere addirittura inferiore raggiungendo quota 770.000 circa includendo i soli giapponesi residenti senza gli stranieri e i giapponesi all’estero, compresi invece nella statistica provvisoria. Tali cifre, a cui il Giappone è arrivato con 10 anni di anticipo rispetto alle previsioni, hanno spinto il capo del governo Kishida ad affermare che ci si sta avvicinando ad un “punto di non ritorno”. In cantiere ci sono misure definite “senza precedenti”, ma nelle quali secondo un sondaggio condotto ad inizio aprile dall’autorevole testata Asahi Shimbun il 61% degli elettori non ripone fiducia.
Gli esperti e i membri dei partiti di governo e di opposizione concordano sul fatto che nel prossimo decennio si giocherà l’ultima possibilità di frenare il calo del tasso di natalità, poiché il numero di donne in età fertile sta rapidamente diminuendo. Per questo motivo Yurike Koike, governatrice di Tokyo, area particolarmente colpita dal problema, ha deciso di introdurre, tra le proposte dell’amministrazione metropolitana, anche sovvenzioni per le donne che decidano di proteggere la propria fertilità ricorrendo al congelamento degli ovuli per una eventuale gravidanza futura nella speranza di tempi migliori. Anche le aziende che sosterranno tale politica tra le proprie dipendenti riceveranno finanziamenti. Quanto un provvedimento di questo genere possa contribuire alla lotta alla denatalità è difficile determinarlo: quanti rinvii si trasformeranno in rinunce definitive? Quante gravidanze si otterranno dagli ovuli reimpiantati e soprattutto quante andranno a buon fine? Tutte questioni aperte sulle quali anche alcuni esperti stanno riflettendo consapevoli che non possono essere affrontate solo guardando a percentuali e statistiche perché, come ha affermato Papa Francesco, “la vita non può deciderla un algoritmo ma serve etica e rispetto”.
Ma, mentre il ministro per l’Infanzia e la Famiglia Masanobu Ogura sbandiera il logo della neocostituita Agenzia per l’infanzia con al centro le parole d’ordine “Kodomo mannaka”, contestualmente al ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare si è avviato il processo di autorizzazione alla commercializzazione della pillola abortiva di produzione britannica. A fine aprile dovrebbe arrivare l’approvazione definitiva dopo l’esame da parte degli uffici del ministero dei circa 12.000 commenti dell’opinione pubblica, più di 100 volte il numero abituale, che sembrano già indicare i due terzi favorevoli all’introduzione del farmaco abortivo.
Sarebbe la prima volta per il Giappone, ma, come Davide contro Golia, uno sparuto gruppo di cristiani, cattolici e protestanti, stanno manifestando dal 27 marzo con lo sciopero della fame di fronte al ministero della Salute nel tentativo disperato di dissuadere le autorità da una tale scelta. Nel totale disinteresse della stampa Kazuo Sasaki, 73 anni, proprietario di un’azienda a Tokyo, ha dato inizio alla protesta. “Milioni di bambini sono stati finora uccisi dall’aborto in Giappone – ha gridato rivolgendosi ai funzionari del ministero di fronte al cui edificio si reca ogni mattina -. Si fa un gran parlare del calo demografico, ma di cosa si parla se da decenni se ne uccidono milioni?”.Solo nel 2021 secondo le statistiche ufficiali rilasciate a gennaio, gli aborti sono stati 126.174, pari a circa 350 al giorno, ovviamente senza considerare gli aborti non dichiarati. Attualmente nel Sol Levante l’aborto chirurgico è regolamentato dalla “Legge per la protezione della maternità” che ammette il ricorso all’aborto per gravidanze inferiori alle 22 settimane con rischi seri per la salute fisica e mentale della madre, per motivi economici e per gravidanze conseguenti a violenza. In tutti i casi è richiesto il consenso della madre e del coniuge, requisito contestato in quanto ritenuto lesivo dell’autodeterminazione della donna.
Una testata online protestante ha riportato le parole della cattolica Junya Kato, che sta partecipando alla protesta, con le quali ha ricordato che la vita è dono di Dio e riferendosi in particolare alle “ragioni economiche” che giustificherebbero secondo la legge l’aborto: “Se una vita può essere salvata se è disponibile denaro, allora possiamo impegnarci per salvare più vite possibile”, ha affermato Kato. Ha citato l’esperienza della Kounotori no Yurikago, una associazione presso l’ospedale Jikei della città di Kumamoto dove i genitori possono affidare anonimamente i neonati se non possono prendersene cura. Si è quindi appellata alle istituzioni affinché promuovano maggiormente iniziative di questo tipo e ha richiamato tutti i cristiani ad opporsi alla pillola abortiva adempiendo alla loro missione di “sale della terra e luce del mondo”.