Dopo una notte relativamente calma ma insonne, a Khartoum stamani “l’artiglieria pesante dell’esercito ha ripreso a bombardare”, lo spazio aereo è stato chiuso e i morti sono quasi un centinaio. “Sembra che i paramilitari abbiano perso il controllo di diversi avamposti fuori dalla capitale, mentre l’esercito fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan è tornato in possesso delle sue basi aeree”. A parlarcene, fornendo aggiornamenti costanti sul conflitto in corso da sabato scorso in Sudan, è padre Diego Dalle Carbonare, comboniano in missione da anni nel Paese del Corno d’Africa, ma al momento in Egitto.
Corsa violenza al potere. Padre Dalle Carbonare, in contatto con i confratelli a Khartoum, parla di un conflitto interno tra esercito e paramilitari per il controllo strategico del terzo Paese più grande d’Africa. Attesa e preannunciata da almeno un anno e mezzo, la guerra civile tiene in ostaggio un intero popolo, e si combatte tra l’esercito regolare fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan (a capo del Consiglio Sovranazionale che guida il governo di transizione), e i paramilitari delle Rsf, le Rapid Support Forces, guidate da Mohamed Hamdan Degalo. “Il popolo è diviso tra chi sostiene i paramilitari, pensando che possano poi cedere il potere ai civili, e quanti ritengono invece che essi vogliano soltanto fare i propri interessi e prendersi tutto il potere”, spiega padre Diego, aggiungendo che i paramilitari sono nati come mercenari. In ogni caso nei prossimi giorni “ci si attende una prosecuzione degli scontri nella capitale, con bombardamenti aerei – dice padre Diego –. Preghiamo per la popolazione civile. Molte zone non hanno elettricità da sabato, con problemi di acqua e cibo”.
Si rischia anche la fame. Il comboniano fa notare che in questo momento nella regione dell’Africa orientale che confina con l’Egitto a nord, Eritrea ed Etiopia ad est, si è nel periodo più caldo dell’anno: “con temperature massime ben al di sopra dei 40 gradi, circostanza che acuisce la sofferenza della popolazione senza cibo da due giorni”. Sabato scorso e fino a domenica pomeriggio, inoltre, duecento studenti tra i sei e 18 anni del Comboni college (la scuola primaria e secondaria gestita dai comboniani a Khartoum), erano rimasti nel seminterrato dell’edificio, “impossibilitati ad uscire perché si sparava ovunque, anche nella zona adiacente alla scuola”. Poi domenica fortunatamente la buona notizia: “i nostri ragazzi sono riusciti a dirigersi verso le loro case, lontane dal centro città dove si continua a sparare”, spiega padre Diego.
Epilogo annunciato. Il missionario assicura che i padri suoi confratelli sono in salvo, almeno per ora, ma la situazione è molto fluida e in rapida evoluzione. “Temevamo da tempo questo epilogo – spiega –; l’esercito e i paramilitari hanno cominciato a farsi la guerra da pochi giorni ma c’è una forte tensione da gennaio del 2022”. Esattamente in quel periodo, tra gennaio e febbraio del 2022, il missionario raccontava a Popoli e Missione: “ci sono almeno due o tre manifestazioni a settimana e i militari rispondono bloccando strade e ponti, affinché la gente non raggiunga i palazzi del potere”. Era la sfiancante resistenza della società civile sudanese contro il golpe militare che il 25 ottobre 2021 aveva deposto il premier legittimo, Abdalla Hamdok. I militari il 25 ottobre del 2021 avevano prelevato dalla sua abitazione il primo ministro Hamdok, portandolo nella residenza del generale Buran. Poi avevano arrestato altri ministri e tentato di formare un nuovo esecutivo. Buran aveva dichiarato lo stato di emergenza e sciolto il governo di transizione, gettando il Paese nel caos più totale. I militari avevano più volte tentato di negoziare “segretamente” col ministro tenuto in cattività: sono state settimane di attesa, anarchia e violenza in tutto il Paese. Va fra l’altro notato che nel Paese circolano armi fornite anche dai Paesi europei. E che la destabilizzante situazione del Sudan rischia di coinvolgere gli Stati dell’intera regione. Dalla Comunità internazionale arrivano appelli – finora inascoltati – ad abbandonare le armi e a intavolare negoziati per la tregua e la ricostruzione della democrazia.
(*) “Popoli e Missione”