La violenza dei “narcos” in Messico ha raggiunto livelli record e sta prendendo sempre più di mira i preti della Chiesa cattolica. Basti pensare che dall’estate scorsa la Conferenza episcopale (Cem) del Paese ha invitato tutte le parrocchie ad esporre nelle chiese le foto di suore e sacerdoti morti. L’iniziativa è iniziata dopo l’omicidio di due gesuiti, il 20 giugno 2022, all’interno della chiesa di Cerocahui, un paesino della Sierra Tarahumara, nello Stato di Chihuahua, in Messico, freddati dal boss locale José Noriel Portillo Gil, alias “El Chueco”, latitante e terrore dell’intera regione.
Minacce e aggressioni. Il duplice omicidio è una tragedia ricorrente in Messico, dove si contano già una decina di preti assassinati sotto la presidenza di López Obrador, Amlo come lo chiamano tutti. Malgrado la condanna di Papa Francesco la situazione non è migliorata e i cartelli continuano ad agire con un’impunità diventata “routine”. Lo dimostra la richiesta fatta allo Stato a fine gennaio di quest’anno dalla Commissione interamericana per i diritti umani (Iachr) affinché il governo proteggesse i sette gesuiti, tre suore e un leader della comunità che resistono a Cerocahui, avendo “subito minacce e aggressioni da parte di gruppi criminali organizzati, che impediscono loro di sviluppare le loro attività pastorali e di sostegno nell’area”.
Omicidi, impunità. A più di sette mesi dall’assassinio dei due sacerdoti, infatti, nella zona prevale l’insicurezza e continuano estorsioni, minacce, rapimenti, occupazione di terreni e disboscamenti illegali da parte dei “narcos”, come continuano a denunciare i gesuiti, rischiando la vita. Se da un lato l’Iachr ha chiesto di proteggerli perché si trovano in “una situazione grave e urgente di pericolo”, dall’altro c’è voluta l’ennesima mattanza – uno scontro a fuoco tra una trentina di poliziotti e altrettanti narcos, il 21 febbraio scorso – affinché il Messico facesse qualcosa. Il 25 febbraio personale specializzato dell’Unità statale per la protezione dei difensori dei diritti umani dell’Ufficio del procuratore generale di Chihuahua si è finalmente recato nella regione della Sierra Tarahumara. Di certo c’è che i religiosi della comunità gesuita avevano emesso un comunicato ufficiale, nel dicembre del 2022, affinché “le autorità di governo rivedano la strategia di pubblica sicurezza della regione”, come riportato dal quotidiano messicano “La Jornada”. “Ad oggi, non abbiamo trovato la pronta giustizia promessa. Riconosciamo gli sforzi ma condanniamo la vergognosa impunità che viene sperimentata di fronte a questi e ad altre migliaia di omicidi”, avevano denunciato i gesuiti.
Preti uccisi sull’altare. “Sono passati così tanti anni sotto la criminalità organizzata, che le persone hanno fatto della paura un elemento della loro vita, è una situazione molto triste. E il fatto che abbiano assassinato nostri sacerdoti sull’altare della chiesa, uno spazio che è servito sempre da rifugio, è un’immagine molto forte: stanno attaccando anche un luogo che la comunità considerava sicuro”, ha spiegato Jorge Atilano González Candia, assistente del provinciale per le opere sociali dei gesuiti in Messico. In realtà, dopo il duplice omicidio dello scorso anno, l’insicurezza è aumentata e Sierra Tarahumara e i gesuiti rimasti sono “estremamente indifesi e vulnerabili” perché le minacce sono aumentate in modo esponenziale. I “narcos” monitorano infatti i membri della comunità di Cerocahui e li hanno avvertiti che, se avessero dato indicazioni sul rifugio di “el Chueco”, “li avrebbero uccisi come cani”, ha dichiarato il sacerdote Javier Ávila, più noto come padre Pato, presidente del Commissione di solidarietà e difesa dei diritti umani di Chihuahua.
Il narcotraffico dà da vivere. Don José Francisco Méndez Alcaraz, padre Pepe come lo conoscono gli amici, è il portavoce dei gesuiti in Messico e conosceva padre Javier Campos e padre Joaquín Mora molto bene. “Popoli e Missione” lo ha intervistato e, secondo lui, la principale causa di così tanta violenza in Messico è dovuta alla povertà. “Molti giovani entrano nel narcotraffico perché dicono che preferiscono avere una vita breve ma in cui possano avere qualcosa da offrire alle loro madri, soprattutto costruire loro una casa dignitosa”. Poi c’è la “narrativa” amplificata dai media. “Qui in Messico – spiega padre Pepe – i film, il cinema e la televisione enfatizzano il potere che si basa sulle armi, che dà ricchezza economica anche agli adolescenti, un potere in grado di conquistare molte donne. Una comunicazione deleteria che offre questi modelli di eroi, come nella serie Netflix ‘Narcos o La reina del sur’”.
Viene meno la struttura sociale. Un’altra causa della violenza a detta del portavoce è la disgregazione della struttura sociale. “Notiamo sempre più spesso che le persone e le famiglie sono più chiuse in loro stesse. In Messico in passato c’era molta solidarietà tra parenti, tra vicini, c’era un tessuto sociale forte. Il senso della comunità era radicato nella tradizione cattolica di vicinato solidale. Quando qualcuno sentiva piangere un bambino o un adulto, i vicini andavano a vedere che succedeva. Ora non lo fanno più, hanno paura e non vogliono essere coinvolti”.
Droga e miniere. La Sierra Tarahumara, dove i gesuiti sono sotto l’attacco del crimine, è una splendida foresta di conifere, con molte gole, pendii, montagne, poche valli e qualche fiume. La violenza qui è legata soprattutto al traffico di droga ma anche alle miniere. “Ci sono grandi compagnie minerarie nella zona, messicane e canadesi. E poi c’è la coltivazione sui pendii irregolari della marijuana, ideale perché è seminascosta”, spiega padre Pepe. I “Rarámuri” che abitano questa parte di mondo sono un popolo che vive nella semplicità.
Istruzione e progetto di pace. Oggi in Messico la Compagnia di Gesù (i gesuiti in Messico sono 246 distribuiti in 14 Stati) sta aiutando il popolo della Sierra Tarahumara a svilupparsi: “Abbiamo collegi per ragazzi rarámuri, una clinica e un ospedale. Poi ci occupiamo di educazione, professionale ma anche religiosa, di valori cristiani e umani”. A livello nazionale, “la Chiesa si mobilita affinché alcuni settori del Paese pensino di più alla collettività, al bene comune, alla Dottrina sociale della Chiesa. Noi gesuiti abbiamo anche un progetto chiamato ‘Questa via per la pace’, che si occupa della ricostruzione del tessuto sociale e nei luoghi in cui questa metodologia è stata applicata, l’esperienza è stata positiva”, assicura padre Pepe.
*Popoli e Missione