In Yemen la tregua di sei mesi tra i ribelli Houthi e il governo yemenita iniziata nell’aprile 2022 (mai rinegoziata ufficialmente) sembra reggere: la notizia positiva è che i combattimenti non ci sono. Ma di fatto “la situazione è come congelata, cristallizzata, e si sta aggravando: l’80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari, che continuano ad essere sottofinanziati dalla comunità internazionale. Il 50% delle strutture sanitarie sono distrutte”. I bambini, le donne e gli uomini “non muoiono sotto le bombe ma muoiono di fame, di parto, di morbillo o dissenteria. Tutto questo ci preoccupa molto”. Federica Ferraresi, Humanitarian affairs advisor di Medici senza frontiere, conosce bene le condizioni dello Yemen. Fino all’anno scorso ha lavorato nella capitale San’aa come capomissione. Il Paese è entrato nel nono anno del conflitto e la popolazione soffre ancora tanto.
Preso d’assalto l’ospedale di Abs, “decuplicati i posti letto”. E’ di questi giorni la notizia che l’organizzazione medico-umanitaria è stata costretta a “decuplicare il numero di posti letto” nell’ospedale di Abs, nel governatorato di Hajja, l’unico in una regione dove vivono un milione di abitanti: da 33 a 288, per l’enorme e improvviso afflusso di pazienti. I pazienti sono costretti a condividere i letti e il pronto soccorso, l’unità di maternità, l’unità neonatale e il centro di alimentazione terapeutica lavorano al di sopra delle loro capacità.
“Un bambino su due è malnutrito o non nutrito adeguatamente
– racconta al Sir Ferraresi -. Arrivano da noi perché non ci sono servizi sanitari di qualità o perché non hanno soldi. C’è stata una recrudescenza del morbillo ed è tornata la dissenteria.
Patologie facilmente curabili si aggravano o si trasformano in decessi, perché è già troppo tardi per le cure.
Anche una semplice gravidanza può diventare rischiosa. Poi c’è un gravissimo problema di salute mentale a causa dei traumi provocati dal conflitto, che ha scavato solchi profondi”.
La guerra in Yemen è una delle crisi umanitarie più dimenticate al mondo. Nonostante ciò, durante l’ultima conferenza dei donatori a febbraio 2023, i Paesi si sono impegnati a stanziare solo 1,2 miliardi di dollari per gli aiuti, anziché 4,3 miliardi di dollari necessari a coprire i bisogni umanitari della popolazione. “Le necessità aumentano ma i finanziamenti si riducono perché ci sono altre crisi”, osserva Ferraresi. La pressione sull’ospedale di Abs – ad esempio – è una conseguenza del taglio dei finanziamenti. Molti operatori sanitari nei governatorati di Hajja e di Hodeida sono stati costretti a interrompere le loro attività, causando una discontinuità dei servizi e la mancanza di forniture mediche in diverse strutture sanitarie.
Le condizioni peggiori sono nei campi profughi. In Yemen su una popolazione di 30 milioni di abitanti almeno 4,5 milioni sono sfollati interni, 1 milione solamente nel governatorato di Marib. “Qui abbiamo cinque cliniche mobili che si spostano a seconda delle necessità”, spiega. Nei campi nel distretto di Abs la mancanza di acqua potabile e di servizi igienici facilita la diffusione delle malattie. L’Unhcr (Alto commissariato nelle Nazioni Unite per i rifugiati) stima che nel 2023 circa 21,6 milioni di persone necessiteranno di assistenza umanitaria, di cui 11 milioni sono bambini.
“Se non si aprono scenari nuovi, con un accordo per il cessate-il-fuoco definitivo, la situazione umanitaria non può che peggiorare”,
afferma Ferraresi. Il conflitto è portato avanti da una minoranza, con i ribelli Houthi appoggiati dall’Iran che hanno il controllo sulla capitale San’aa e il governo centrale appoggiato da una coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita. E’ risaputo che molte armi occidentali, tra cui quelle di produzione italiana (nonostante i divieti legislativi), siano finite in Yemen. Medici senza frontiere, che si è sempre caratterizzata per la sua neutralità, indipendenza e imparzialità, per svolgere le sue attività porta avanti le relazioni con entrambe le parti. “Certo non è facile ma questo ci permette di aiutare tutti”.
Appelli alla comunità internazionale. Il suo auspicio, ovviamente, “è che il conflitto finisca presto, perché chi ne fa le spese è la popolazione”. Alla comunità internazionale chiede di “facilitare una risoluzione e contribuire in modo più sostanzioso agli aiuti umanitari”. Anche se, in un Paese distrutto socialmente ed economicamente, dove ancora nemmeno si parla di ricostruzione,
“il dopo sarà sicuramente più impegnativo del durante”.
Medici senza frontiere lavora in Yemen dal 1986 e dal 2007 è presente stabilmente nel Paese. Nel 2022, le équipe di medici e paramedici hanno lavorato in 12 ospedali e fornito supporto ad altre 16 strutture sanitarie in 13 governatorati.