“Nove anni di vita in schiavitù! Nove anni di torture! Nove anni di agonia! Abbiamo sofferto così tanto per mano di queste persone senza cuore e spietate. Per nove anni abbiamo visto versare il sangue innocente dei miei fratelli cristiani, uccisi da persone che non danno alcun valore alla vita. Hanno ucciso senza rimorsi, come se fosse una cosa normale. Le parole non possono esprimere ciò che ho vissuto”. È un passaggio della testimonianza di Maria Joseph, giovane nigeriana di 19 anni, rilasciata ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la fondazione pontificia che l’ha invitata in Italia, insieme a Janada Marcus, 22 anni, anch’essa nigeriana, in occasione della Festa della Donna, nell’ambito dell’iniziativa denominata “8 marzo, ascolta anche le loro grida”.
“Mortificante dimenticatoio”. Scopo dell’evento è, infatti, “far giungere la loro drammatica testimonianza alle Istituzioni e all’opinione pubblica italiane, posto che ordinariamente le loro storie non emergono nel dibattito pubblico, restando così relegate in un mortificante dimenticatoio che aggiunge la pena dell’indifferenza a quella delle violenze già subite”. Maria Joseph e Janada sono state salutate da Papa Francesco al termine dell’Udienza generale di oggi, 8 marzo. In programma anche un incontro con la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani. Domani le due ragazze saranno ricevute dal Presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Il 9 e 10 marzo è fissato l’incontro con il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, e con numerosi diplomatici accreditati presso la Santa Sede.
La storia. Le due giovani, di fede cristiana, sono state vittime nel recente passato della ferocia dei terroristi di Boko Haram, gruppo responsabile della morte di oltre 75.000 nigeriani negli ultimi 13 anni. Nell’agosto del 2022 Maria Joseph è sfuggita ai miliziani di Boko Haram dopo essere rimasta prigioniera per nove anni. A seguito di un attacco sferrato dal gruppo terroristico alla sua comunità di Bazzar, la ragazza è stata rapita nel 2013 insieme ad altre 21 persone. Aveva solo 9 anni. Due dei suoi fratelli sono stati successivamente condotti nello stesso campo in cui la minorenne è stata detenuta. Uno di loro è stato ucciso, mentre l’altro è ancora prigioniero. Janada e la sua famiglia, invece, erano riusciti a sfuggire indenni a due attacchi di Boko Haram, prima a Baga, nella regione nigeriana del Lago Ciad, e poi ad Askira Uba, nello Stato del Borno meridionale, dove la loro abitazione è stata bruciata e diversi familiari sono stati uccisi dagli islamisti. Purtroppo a Maiduguri, mentre era con la sua famiglia a lavorare in fattoria, è stata catturata e torturata duramente non prima di aver visto suo padre decapitato con un machete. Entrambe le giovani, spiegano da Acs, sono state accolte dai sacerdoti e dagli specialisti del Trauma Center di Maiduguri, capitale dello Stato del Borno, nel nord-est della Nigeria. Il Centro è gestito dalla Diocesi locale ed è stato costruito con l’aiuto dei benefattori di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Nella struttura le vittime della violenza degli estremisti vengono curate da un team di professionisti.
Cristiani messi in gabbie. “Hanno messo i cristiani in gabbie, come animali – ricorda Maria -. La prima cosa che hanno fatto è stata convertirci con la forza all’Islam. Hanno cambiato il mio nome in Aisha, un nome musulmano, e ci hanno avvertito di non pregare come cristiani o saremmo stati uccisi. Quando avevo 10 anni volevano sposarmi con uno dei loro capi, ma ho rifiutato. Per punirmi mi hanno rinchiuso in una gabbia per un anno intero. Portavano il cibo una volta al giorno e lo infilavano sotto la porta senza mai aprire la gabbia. Nel novembre 2019 hanno catturato due dei miei fratelli e li hanno portati al campo. Sotto i miei occhi hanno preso mio fratello e lo hanno ucciso. Gli hanno tagliato la testa, poi le mani, le gambe e lo stomaco”, ha aggiunto. “Era il 20 ottobre 2018 – racconta Janada – eravamo nella fattoria, lavoravamo alacremente quando all’improvviso siamo stati circondati dagli uomini di Boko Haram. Hanno puntato un machete contro mio padre e gli hanno detto che ci avrebbero rilasciati se avesse fatto sesso con me. Mio padre ha chinato la testa in segno di sottomissione per essere ucciso e ha risposto: ‘Non posso dormire con la mia carne e il mio sangue, mia figlia, preferirei morire piuttosto che commettere questo abominio’”. A quel punto “uno degli uomini di Boko Haram ha tirato fuori un machete e ha tagliato la testa di mio padre, proprio di fronte a noi”. I terroristi in quella occasione hanno restituito la libertà a Janada, ma il 9 novembre 2020 la giovane è stata catturata, portata nella boscaglia e torturata duramente, emotivamente, fisicamente e mentalmente per sei giorni, per poi essere rilasciata. Anche lei è stata accolta nel Centro traumatologico della diocesi di Maiduguri.