Iran: appello contro le condanne a morte. Noury (Amnesty Italia): “Il miglioramento della situazione dipenderà dalle Nazioni Unite”

Se il mondo si fosse girato dall’altra parte sarebbe stata una carneficina, come in passato. E invece no. Non solo il mondo ha guardato ma è sceso in piazza o nella rete. È quello che ha permesso di non peggiorare la situazione in Iran, secondo Riccardo Noury, portavoce Amnesty international Italia. L’organizzazione umanitaria ha lanciato da subito un appello per fermare le condanne a morte contro almeno 28 persone, accusate in relazione alle proteste in corso dallo scorso settembre

"(Foto: ANSA/SIR)

Se il mondo si fosse girato dall’altra parte sarebbe stata una carneficina, come in passato. E invece no. Non solo il mondo ha guardato ma è sceso in piazza o nella rete. È quello che ha permesso di non peggiorare la situazione in Iran, secondo Riccardo Noury, portavoce Amnesty international Italia. L’organizzazione umanitaria ha lanciato da subito un appello per fermare le condanne a morte contro almeno 28 persone, accusate in relazione alle proteste in corso dallo scorso settembre. A rendere diversa la ribellione contro il regime, stavolta secondo il portavoce sono tre elementi: le donne, da cui è partito tutto, i giovani che sono con loro e la mancanza di riferimenti politici. Inoltre, la commissione d’indagine, istituita dalle Nazioni Unite, “potrebbe essere un’arma politica a disposizione”.

In base alle vostre fonti, che situazione c’è in Iran oggi?
Il numero delle persone giustiziate mediante impiccagione resta fermo a due. Questo è un segnale che possiamo dire moderatamente positivo. Se il mondo fosse rimasto in silenzio o avesse dato una risposta blanda, ho la sensazione che ci sarebbe stato un massacro. Non di meno, aumenta il numero delle persone che sono pronte su questo nastro della morte. Premesso che non c’è trasparenza da parte delle autorità iraniane, ma tra quelli che hanno già una condanna a morte, quelli che sono sotto processo per reati capitali e quelli che sono sotto indagine arriviamo a diverse decine di persone. Di queste, almeno due, se non quattro, potrebbero avere le ore contate.

Vede spiragli?
La situazione è molto complessa, perché più aumentano le proteste più aumenta la repressione. A questo va aggiunto che fra Iran e comunità internazionale i rapporti sono tesi. Questo fa in modo che le iniziative diplomatiche, anche quando sono su un tema nobile come i diritti umani, siano sempre rispedite al mittente da parte delle autorità iraniane, vedi per esempio la convocazione da parte del ministro degli Esteri Tajani dell’ambasciatore designato in Italia. Se vediamo questo movimento di protesta da una prospettiva femminile, quel sistema non è riformabile perché strutturalmente è impostato per discriminare le donne. Quello che prevede il futuro è difficile immaginarlo. Il rischio, secondo alcuni analisti, è che ci sia una forza ancora peggiore che possa essere usata dall’Iran. Dipende quindi dalla comunità internazionale, intesa come Nazioni Unite, non come singoli Stati. Le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione attraverso il Consiglio dell’Onu dei diritti umani che ha istituito una commissione d’indagine, questa potrebbe essere un’arma politica a disposizione. Se questa commissione di esperti indipendenti e super partes riuscisse a fare pressione sull’Iran si potrebbe ottenere un miglioramento della situazione che potrebbe allentarsi un po’.

Quando dice che l’Iran potrebbe usare una forza maggiore, si riferisce a una repressione più crudele?
Nel 2019 ci sono stati 1.500 morti durante le proteste, molti di più rispetto a quelli di oggi. Non è contabilità ma basarsi sull’esperienza del passato, per dire che quando si tratta di aggrapparsi al potere, le autorità iraniane non fanno sconti. Hanno un tale disprezzo per la vita umana che non consente loro di arrestarsi.

La contestazione del regime, partita dalle donne, potrebbe dare una nuova valenza?
Potrebbe essere. Ci sono due elementi nuovi oltre alla presenza femminile: il fatto che sia una protesta priva di riferimenti politici, diversamente dal 2009, e poi i giovani che hanno unito i gruppi etnici che facevano rivendicazioni per conto proprio, come i curdi e i beluci.

Come Amnesty International Italia siete quasi arrivati all’obiettivo dei 35mila sottoscrittori, a quel punto manderete l’appello alle autorità giudiziarie iraniane?
Aspettiamo che il numero di sottoscrittori cresca. L’appello va considerato insieme alle altre iniziative che sono in corso. Tutto il resto ci dice che c’è una partecipazione della società civile italiana enorme a questa vicenda. Quando arriveremo a un numero importante (50 o 100mila) come sempre faremo il doppio invio al destinatario dell’appello, cioè l’autorità giudiziaria iraniana e all’ambasciatore in Italia.

In Italia c’è abbastanza attenzione a ciò che sta avvenendo?
Se ne parla moltissimo. La morte del ragazzo che aveva studiato a Bologna (Mehdi Zare Ashkzari, ndr) ha aperto i giornali dopo la morte del Papa emerito. Ci sono stati anche dei fatti importanti sul piano della determinazione politica ovvero la convocazione dell’ambasciatore designato e la menzione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso di fine anno.

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