Proseguono senza sosta i lavori di scavo e di restauro della pavimentazione della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il flusso dei pellegrini in fila per entrare nel cuore della Cristianità è ordinato e silenzioso e non disturba il cantiere archeologico organizzato dall’équipe interdisciplinare di archeologi e studiosi della Università di Roma La Sapienza guidata dalla professoressa Francesca Romana Stasolla (Dipartimento di Studi sul Mondo antico). Qualche pellegrino prova a guardare oltre le recinzioni che delimitano il cantiere ma senza esito. L’accesso è negato e anche scattare foto è proibito.
Un progetto comune. I lavori sono iniziati lo scorso 14 marzo quando i rappresentanti dei tre riti cristiani che hanno la custodia del complesso del Santo Sepolcro, il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton (per i cattolici di rito latino), il patriarca greco-ortodosso Teofilo III e padre Samuel Aghoyan, per il patriarcato armeno della Città Santa, hanno simbolicamente sollevato con un piccone la prima lastra del pavimento. “Lavorare a questo progetto comune – dichiara padre Patton – in un momento storico segnato da pandemia e da guerre è un segno importante. Questo è il luogo dove Gesù diventa la pietra angolare della Chiesa”. Obiettivo dei lavori, che dovrebbero durare 26 mesi, è ripristinare i circa mille metri quadrati di pavimentazione che verrà poi restaurata dal Centro di Conservazione e Restauro La Venaria Reale di Torino. Approfittando degli scavi i leader religiosi hanno anche convenuto di mettere in sicurezza l’edicola del Santo Sepolcro e di rinnovare i sottostanti impianti idrici ed elettrici. Lo scorso 30 agosto i capi religiosi della basilica si sono incontrati per decidere il tipo di pietre che dovranno rimpiazzare le mancanti o quelle troppo usurate. Tutte le altre, una volta pulite, verranno posate di nuovo nel punto esatto dove sono state prelevate.
Scavo importante. A ribadire al Sir l’importanza e il significato dello scavo al Santo Sepolcro è la stessa professoressa Stasolla: “Uno scavo particolare anche alla luce del fatto che difficilmente si pensava di poter scavare in un luogo come la Basilica del Santo Sepolcro. Si tratta di un complesso molto visitato e anche per questo difficile da indagare. Le tre comunità religiose che detengono l’uso della basilica hanno preso una iniziativa coraggiosa che permetterà di avere, per la prima volta, una conoscenza completa di tutta la storia archeologica e ambientale del sito pluristratificato. Queste comunità ci hanno accolto con grande disponibilità e apertura. Da parte nostra ci siamo avvicinati con molto rispetto. Come ateneo – ricorda l’archeologa – abbiamo una consolidata tradizione di scavi all’estero, per esempio in Siria, Turchia, a Gerico, in Grecia, in Egitto, in Iran e in tutto l’Oriente, e di rapporti con realtà multiculturali e multireligiose. Questo ci permette di lavorare proficuamente. Lo scavo di Gerusalemme si inserisce nel solco di questa tradizione”.
Il punto sui lavori. A partire dal maggio di questo anno le indagini archeologiche stanno interessando parte della navata nord della basilica (Archi della Vergine) e parte della rotonda nord-occidentale; i lavori si svolgono a ciclo continuo, di giorno e di notte, e l’elaborazione dei materiali prodotti viene realizzata in tempo reale tra Gerusalemme e Roma, dove lavora il resto dell’équipe. I dati elaborati nel corso dello scavo vengono inseriti in un database collegato alle differenti fonti storiche e di archivio. Nell’area della navata nord è stata individuata, secondo gli archeologi, una interessante sequenza stratigrafica che ha permesso di rintracciare le trincee scavate da padre Virgilio Corbo negli anni Sessanta, e ha consentito anche di acquisire nuovi dati. I più interessanti sono quelli relativi al cantiere di età costantiniana, pertinente alla costruzione del complesso religioso, che qui veniva ad impiantarsi all’interno di un’area di cava. Nel IV secolo l’imperatore Costantino fece edificare la prima basilica sulla roccia di questa cava che i Romani usavano per le crocifissioni pubbliche e che, all’epoca, si trovava all’esterno delle mura della Città Santa. Interessante, inoltre, risulta essere, nella porzione centro-settentrionale dell’area a ridosso dell’edicola del Sepolcro, un cunicolo, in parte già evidenziato nel corso di ricerche precedenti, che scende verticalmente accanto all’edicola per una profondità di 2,80 mt. per poi proseguire orizzontalmente verso nord. Il suo rinvenimento, in relazione alle stratigrafie di scavo e la sua connessione con tutto il sistema di deflusso delle acque, costituisce un aspetto importante nello studio degli aspetti architettonici che si stanno analizzando nell’ambito del progetto.
“Scavare è leggere”. “L’archeologia è un processo di conoscenza di una moltitudine di dati, non solo delle strutture ma anche di tutto quello che la terra racconta attraverso anche indagini paleobotaniche e altro. Oggi lo scavo – dichiara al Sir Stasolla – è sempre più una operazione di équipe perché scavare è leggere il contesto. Scavarlo, leggerlo e in qualche modo anche distruggerlo. Scavare, infatti, vuol dire anche distruggere stratigrafie di terra in maniera inversa alla sua deposizione. Per fare questo noi archeologi siamo coadiuvati da una pluralità di specialisti come botanici, ingegneri, geologi e archeo-geologi, storici, filologi, storici dell’arte, ingegneri. Tutte professionalità che servono a raccogliere dati che vanno seriati, comparati e letti in modo organico”. I lavori al Santo Sepolcro sono anche lo stimolo, per Stasolla, di una riflessione ulteriore riguardante il valore dell’archeologia e del suo contributo al progresso scientifico e culturale: “inevitabilmente qualsiasi progresso poggia su una base di conoscenza acquisita che altro non è che tutto il background che abbiamo. La consapevolezza di questo background è il nostro passato. Se non conosciamo questo passato non abbiamo nessuna consapevolezza di noi stessi, di ciò che siamo, possediamo e conosciamo. In qualche modo l’archeologia contribuisce a questa consapevolezza. Per me e i miei colleghi riconsegnare questo progetto vuole dire riconsegnare una porzione di territorio e di storia a tutti. Come per ogni scavo che portiamo avanti, cerchiamo di rileggere, pensare e ricostruire un contesto per riconsegnarlo a noi stessi e alla nostra storia”.