Il mondo è “albiceleste”. Trentasei anni dopo l’Argentina di Maradona, è l’Argentina di Messi a vincere i Mondiali di calcio, ai calci di rigore contro la Francia, al termine di una partita bellissima e vibrante, finita per 3 a 3 (per due volte i biancocelesti si sono fatti rimontare, prima dal 2 a 0, e poi dal 3 a 2), prima, appunto dei tiri dal dischetto. Per la “selección” è il terzo successo in un Mondiale, e la Coppa torna, così, in America Latina dopo vent’anni. L’intera Argentina si è fermata, ieri, per oltre due ore, ed è poi scesa in strada a festeggiare, dimenticando, così, almeno per un giorno, la difficilissima situazione economica e sociale del Paese, dove il 43% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Le immagini provenienti da Buenos Aires documentano una folla oceanica, per una gioia tanto a lungo attesa. Secondo il presidente della Repubblica, Alberto Fernández, i nuovi campioni del mondo sono l’esempio “che non dobbiamo abbassare le braccia”.
Mons. Fernández: “Valori anche sociali”. “In questa occasione si è visto che i giocatori hanno messo da parte i loro interessi e progetti personali e hanno dato il massimo per la squadra e per darci gioia. Inoltre, è stato facile vedere una forte unità, una corrente di vera simpatia tra i giocatori argentini”. A dirlo, al Sir, è mons. Víctor Manuel Fernández, arcivescovo di La Plata e teologo, già rettore dell’Università Cattolica dell’Argentina. “Sono valori – prosegue – che hanno a che fare con il trionfo e che lasciano messaggi per altri ambiti della vita sociale”. L’arcivescovo ci offre anche un personale ricordo dell’eroe di questo Mondiale, Lionel Messi: “L’ho conosciuto in occasione di un’amichevole a Roma e nella successiva visita della squadra al Papa. Non credo che si ricordi di me, ma sono rimasto affascinato dalla sua semplicità e umiltà. L’ho anche sentito dire qualche parola sulla sua fede in Dio, a cui attribuisce il suo dono speciale”.
La gioia del “cappellano” del calcio argentino. A festeggiare, nella capitale argentina e con il cuore nel Qatar, anche padre Juan José Medina, cappellano dell’Associazione argentina del calcio (Afa), da ben 25 anni. Una sorta di “memoria storica”, come spiega al Sir, ancora emozionato per quanto vissuto qualche minuto prima: “È davvero una grande gioia, un’emozione enorme”, tanto più che parliamo di giocatori, in alcuni casi, ben conosciuti dal sacerdote, a partire da Lionel Messi: “Lo conobbi per la prima volta ai Mondiali under 20, in Olanda, nel 2004. Allora era un ragazzo molto serio ed educato, certo nessuno all’epoca pensava che avrebbe avuto una carriera del genere, coronata dalla partita di oggi”.
Ancora meglio padre Medina conosce Ángel Di Maria, l’altro “senatore” della squadra: “Con lui ho un rapporto molto personale, è molto religioso, con lui ho parlato anche di alcune questioni familiari, sulle quali mi aveva chiesto consiglio”.
Meno confidenza esiste rispetto ai giovani della squadra, con l’eccezione del centrocampista Alexis Mac Allister, una delle sorprese di questo Mondiale: “Era partito in panchina e si è guadagnato un posto da titolare. Conosco anche i suoi genitori, che si sono preoccupati della sua formazione religiosa”. Ma la grande stima di padre Medina va, soprattutto, al commissario tecnico Lionel Scaloni, con il quale ha un bellissimo rapporto personale: “Una persona incredibile, un uomo molto serio, frequenta la parrocchia del Seminario, a Buenos Aires. Sente molto la responsabilità che ha, e la esercita non solo attraverso le sue competenze calcistiche, ma anche culturali”. Ora, è il momento di festeggiare: “Le piazze sono piene di gente, tutti festeggiano insieme, senza differenze. Oggi, la gente è contenta, ma non possiamo dimenticare i grandi problemi di povertà e insicurezza che esistono in Argentina”.
Le conseguenze sulla società e sulla politica. Ma cosa significa, o cosa può significare questa vittoria per la società argentina? “Merita attenzione – è ancora mons. Fernández a rispondere – l’enorme passione dei tifosi argentini, vissuta con tanto fervore da tutto il Paese. Per un po’ di tempo, le differenze politiche e ideologiche sono passate in secondo piano e c’è stato un sogno comune. Sicuramente non durerà, perché la divisione sociale è molto forte, come in molti Paesi oggi. Ma questa tregua dimostra almeno che è possibile quando siamo uniti da un sogno”. Le conseguenze sociali di questa vittoria, sono analizzate, per il Sir, anche da Agustín Salvia, sociologo dell’Università Cattolica dell’Argentina, oltre che coordinatore dell’Osservatorio del Debito sociale dello stesso ateneo. E a chi ipotizza che questa vittoria ponga le basi per un’insperata unità, superando le divisioni politiche e sociali, risponde senza mezzi termini: “Al contrario, la vittoria dell’Argentina al Mondiale, oltre che essere certamente un fatto molto importante, mette in luce un’evidente e profonda contraddizione tra il contesto sportivo e quello politico. Ci troviamo di fronte a una squadra che ha saputo lavorare insieme, con un direttore tecnico molto chiaro, onesto, trasparente, capace di valorizzare le risorse umane e di costruire una squadra nella quale non si sono contrapposizioni, che dialoga, che lotta per una stessa causa, che è quella di vincere ma anche, in ultima analisi, di dare felicità. Tutto questo, appunto, ha un valore enorme, ma marca una contraddizione altrettanto grande con il mondo della politica, guardando non solo agli scontri tra le maggiori forze politiche, ma anche a quello che succede all’interno dei partiti stessi.
Abbiamo davanti ai nostri occhi una classe politica frammentata, competitiva, che lotta contro l’altro, e non lavora invece insieme per costruire un progetto comune. Che vuole cancellare l’avversario, negando la sua esistenza e il valore delle sue potenziali capacità”.
Secondo Salvia, “proprio per questo motivo nessuna parte politica può appropriarsi di questo successo. E se qualcuno lo farà, pagherà un prezzo, potrebbe essere un boomerang, proprio perché il contrasto con la Nazionale di calcio mette in evidenza l’incapacità della politica di essere all’altezza della situazione attuale e delle sfide di oggi”. Per quanto riguarda i festeggiamenti di queste ore, “non è giusto dire che siano un narcotico rispetto alla situazione di povertà del Paese, è giusto festeggiare, ma il modo migliore per farlo è guardare all’esempio di unità della squadra di Scaloni, all’esempio di calciatori che hanno dato tutto se stessi per la felicità di tutto il popolo. Insomma, ci troviamo di fronte a un’altra sfida per la politica, chiamata a lavorare per l’unità, per il bene comune e per la patria”. È quello che pensa anche l’arcivescovo Fernández: “Non credo che si tratti di un narcotico. Il popolo argentino è intelligente, non stupido. In ogni caso, da questo trionfo trarrà la forza per combattere e andare avanti”.