La Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica, è la primogenita (che ha già mostrato la sua fecondità con il successivo Sinodo e i successivi passi). È poi arrivata la secondogenita, la Remam (Rete ecclesiale ecologica mesoamericana e messicana), in America Centrale. Ora, ecco arrivare la terzogenita, la Regchag (Rete ecclesiale del Gran Chaco e Acuífero Guaraní). Sono le tre figlie della Laudato si’ nel Continente latinoamericano, reti ecclesiali che hanno messo la centro della loro azione, nell’apertura e dialogo con le popolazioni originarie, la custodia del creato e la promozione dell’ecologia integrale. Il compito era ed è particolarmente urgente in Amazzonia, ma anche questa grande area del cosiddetto “Cono sur”, la parte meridionale del Sudamerica, non è da meno.
Il Gran Chaco è la più vasta zona boscosa (a macchia e savana) del Sudamerica dopo l’Amazzonia, tra Brasile, Paraguay, Bolivia e Argentina. Il cosiddetto Acuífero Guaraní è la terza riserva d’acqua dolce del mondo, dà origine ai grandi fiumi Paraná, Paraguay e Uruguay e si trova tra Brasile, Paraguay, Uruguay e Argentina. Regioni dall’ecosistema inestimabile, abitate da varie popolazioni indigene e in particolare dal popolo Guaraní, oggi sempre più minacciate da inquinamento delle falde, monocolture, deforestazione, incendi, attività illecite.
Idea maturata al Sinodo dell’Amazzonia. L’assemblea costitutiva della Regchac si è tenuta ad Asunción, capitale del Paraguay, il 28 e 29 novembre. Forte, nell’atto di nascita, l’impulso del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) e degli Episcopati dei cinque Paesi coinvolti.
La rete ecclesiale è coordinata da mons. Ángel José Macín, vescovo di Reconquista, attualmente anche alla guida della Pastorale indigena e della Pastorale delle migrazioni della Conferenza episcopale argentina. “L’idea – spiega al Sir – ha iniziato a circolare durante il Sinodo dell’Amazzonia, al quale ho partecipato. Ne parlammo con l’allora arcivescovo di Asunción, mons. Edmundo Valenzuela, e con Mauricio López, all’epoca segretario esecutivo della Repam. Siamo diventati amici. I discorsi sono continuati, la prima riunione preparatoria l’abbiamo tenuta in piena pandemia. Insomma, si è trattato di un sogno che piano piano ha camminato e ora diventa realtà. In occasione del lancio della rete ecclesiale, dal Vaticano, il cardinale Czerny, che guida il Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, ci ha fatto avere il suo appoggio esplicito”.
L’obiettivo principale è quello di “concretizzare in queste regioni quanto è previsto nella Laudato si’, a promuovere l’ecologia integrale e la cura della casa comune. Abbiamo avuto nel cammino di preparazione dei confronti anche con alcuni scienziati, c’è stato un lungo dibattito. Le due zone che compongono la Regchag, il Chaco e l’Acuífero Guaraní, sono distinte, ma contigue e accomunate soprattutto dal tema della difesa dell’acqua, che nel primo caso scorre sotterranea, nel secondo è più superficiale. Sono due polmoni che respirano la stessa spiritualità. La risorsa dell’acqua è costantemente minacciata, le monocolture avanzano”. Naturalmente, specifica mons. Macín, “la Rete non si sostituisce ad alcuna struttura ecclesiale, anzi essa nasce in stretto raccordo con gli organismi ecclesiali, a partire dal Celam, e con le strutture di base della Chiesa. Al tempo stesso, si propone di dialogare a livello culturale e sociale, e di creare sensibilizzazione e pressione nell’opinione pubblica. Saremo preoccupati e occupati nella cura della casa comune, assieme ai popoli che abitano quelle regioni, soprattutto quelli originari”.
La gioia della Chiesa latinoamericana viene confermata, attraverso un breve video, da Mauricio López, attualmente direttore del Centro per le Reti e l’Azione pastorale del Celam, secondo il quale la nascita della Regchag è “il segno di un nuovo dinamismo pastorale”, su base territoriale, segno di “conversione pastorale, socio-ambientale, culturale ed ecclesiologica”.
Illuminati dal magistero di Papa Francesco. L’attenzione che avrà il nuovo organismo ecclesiale viene sottolineata anche dal segretario esecutivo della Regchag, Miguel Cruz Solares: “Questa rete ecclesiale, in poche parole, è dettata dalla realtà che viviamo, illuminata dalle parole di Papa Francesco. Vogliamo sommarci al suo progetto di Chiesa, la nostra fonte d’ispirazione sono la Laudato si’, l’Evangelii Gaudium, l’esortazione postsinodale Querida Amazonia, il documento preparatorio e finale del Sinodo dell’Amazzonia. La Regchag nasce come una rete ecclesiale aperta. Ci sono cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, tanti laici e laiche. Vogliamo avere una forte presenza nel territorio, e camminare insieme”. Anche Cruz insiste sulla centralità del tema dell’acqua, “che si sta esaurendo per l’inquinamento, per l’uso irrazionale ed eccessivo soprattutto nell’agricoltura intensiva, per i megaprogetti minerari e idroelettrici, per gli incendi. Richia di venire a mancare in interi villaggi la stessa acqua potabile. Dobbiamo prendere coscienza di questa realtà, e insieme accompagnare la vita delle comunità indigene”.
La voce dei popoli indigeni. E proprio tra i popoli originari c’è attesa e partecipazione per questa iniziativa ecclesiale, come sottolinea al Sir Jorgelina Duarte, argentina, leader del popolo Mbya Guaraní. “Siamo in 10 mila persone, divise in 130 comunità. Mio nonno è stato uno storico leader del nostro popolo”. Jorgelina ne ha preso l’eredità, all’interno dell’organizzazione territoriale del popolo Guaraní, vive nel nord dell’Argentina, lungo il rio Uruguay, visita spesso le varie comunità, partecipa agli incontri della Pastorale indigena della Chiesa argentina ed è stata invitata a prendere parte all’incontro fondativo della Regchag.
Continuamente assiste a pezzi di foresta che se ne vanno, all’avanzata della soia che distrugge gli ecosistemi e le coltivazioni tipiche. “Sono in pericolo, per esempio, gli eucalipti, dai quali, nel bacino del rio Uruguay, ricaviamo prodotti naturali tradizionali”. Jorgelina vive non molto lontano dalle cascate di Iguazú, al confine tra Argentina, Brasile e Paraguay, uno dei luoghi più incantevoli del pianeta. “Arrivano turisti da tutto il mondo, ma non ci sono benefici per i popoli indigeni, per i piccoli produttori, che si stanno continuamente impoverendo, non potendo più proseguire con le loro attività che portavano avanti da generazioni. L’acqua, poi, è sempre più inquinata, e si perde un equilibrio che abbiamo custodito per generazioni. Molti si riempiono la bocca di sostenibilità, ma nei fatti i nostri territori indigeni sono devastati”.
In questo scenario preoccupante, “la Chiesa, attraverso la pastorale indigena, ci è vicina, e ci sostiene, in particolare attraverso l’assistenza giuridica”. Da oggi, questa vicinanza diventa permanente e strutturata.
(*) giornalista de “La vita del popolo”