“La Siria, dopo 12 anni di guerra, è un Paese distrutto. È come un pallone preso a calci da diversi giocatori, che altri non sono che gli eserciti dei Paesi più potenti del mondo”: è quanto denunciato da padre Ibrahim Alsabagh, francescano della Custodia di Terra Santa, per oltre 8 anni parroco di Aleppo, città martire del conflitto siriano, durante la 15esima Giornata dedicata ai volontari delle associazioni impegnate in progetti a favore della Terra Santa, svoltasi il 5 novembre a Roma, presso la Pontificia Università Antonianum. Un evento annuale organizzato dalla Fondazione Terra Santa.
“Un pallone preso a calci”. Padre Alsabagh, che da meno di un mese è diventato parroco a Nazareth, ha descritto la situazione attuale in Siria e più in particolare ad Aleppo, mettendo in evidenza “la povertà, la carestia, le distruzioni delle infrastrutture” di questo Paese che “nessuno può o vuole guarire”, perché “questa guerra non è altro che un pezzo di tante altre guerre”. “Aleppo oggi è per il 60% distrutta. Chi sta cercando di riparare le case della gente è la Chiesa. Il Governo – ha detto – mette mano solo a piazze, strade poco altro”. Una povertà materiale che è frutto anche di una debole azione politica. “Non c’è un pozzo di petrolio o di gas che sia a beneficio del popolo” ha detto il francescano evidenziando lo sfruttamento delle risorse siriane da parte di “altri Stati. Il Governo siriano riesce a fornire alle famiglie solo 50 litri di gasolio annui a prezzo agevolato. La popolazione non ce la fa ad andare avanti, con prezzi che salgono vertiginosamente e con gli stipendi fermi. Con una pensione mensile si riesce a comprare cibo per solo 3 o 4 giorni”. Il resto lo fanno “le sanzioni internazionali, la svalutazione, la corruzione e la burocrazia”. Padre Alsabagh ha parlato anche di “crisi elettrica umiliante. La mancanza di erogazione continua di energia elettrica costringe le famiglie al caldo di estate e al freddo di inverno. Le case in estate diventano dei forni, senza condizionatori, senza lavatrici, senza frigoriferi dove conservare un po’ di cibo”. Nel Paese l’emergenza sanitaria è continua: “mancano medici, farmaci, le strutture ospedaliere sono ai minimi termini. Lo Stato non riesce a garantire le medicine salvavita, che prima della guerra forniva ai malati gravi. A causa della guerra – ha ricordato il parroco di Nazareth – crescono patologie come tumori, malattie neurodegenerative, respiratorie”. Il combinato sanzioni-Covid “ha peggiorato la situazione sul campo, con le misure di distanziamento inapplicabili vista la situazione. Adesso, con la guerra in Ucraina e la carenza di grano, approvvigionarsi di pane è sempre più difficile”.
Una società squilibrata. “Vivere in queste condizioni – ha aggiunto padre Alsabagh – costringe un gran numero di siriani, fra loro tanti sono cristiani, ad emigrare. Si consegnano ai pirati del mare per attraversare il Mediterraneo mettendo a rischio la loro vita e quella dei loro familiari. Oggi in Siria la società è squilibrata: uomini e giovani fuggono. Restano solo donne e anziani. Il Paese è in rianimazione e vive solo attaccato ai ‘tubi’ della comunità internazionale che offre il suo sostegno umanitario. La gravità della situazione è sancita dalla mancanza di una soluzione politica e negoziale che rende la popolazione sempre più disperata”.
L’impegno della Chiesa. “La Chiesa, con la Custodia di Terra Santa, cerca di fare la sua parte come può e con i suoi mezzi limitati – ha affermato il francescano -. In questi anni siamo riusciti a ristrutturare e a restaurare 1700 appartamenti, ad aiutare circa 1500 tra giovani e padri di famiglia con progetti volti alla creazione di lavoro”. Significativo è il progetto “5 pani e due pesci”, una mensa parrocchiale che offre migliaia di pasti giornalmente a tutti coloro che hanno bisogno, senza distinzione di etnia o religione. Alla mensa si è affiancata anche una panetteria. “È un progetto unico in Siria per numeri e continuità di servizio” ha detto padre Alsabagh. “Abbiamo dato sostegno nel pagare affitti, tasse universitarie, acquistare apparecchiature domestiche. Abbiamo acquistato anche le bare per dare degna sepoltura ai nostri morti. La comunità cristiana locale affronta con grande fede la situazione e affolla le chiese. Perché solo la fede ci salva in questa situazione”.
Il futuro? “Difficile, duro e pieno di sfide – risponde senza esitazione padre Ibrahim -. Oltre alle condizioni disumane a livello sociale, economico e sanitario, patite dalla popolazione, come cristiani siamo chiamati a fare fronte anche alla crescita del fondamentalismo religioso. Ci sono gruppi familiari e fazioni che sfruttano ideologicamente la religione per realizzare i loro piani particolari. Altra grande sfida è data dal disordine istituzionale, sociale e politico che alimenta la corruzione a tutti i livelli. Soffiano venti non favorevoli ai cristiani – ha concluso padre Alsabagh – ma questo non ci preoccupa. Sappiamo che la fede ci salva. Ci conforta, in questo, anche il desiderio di tanti musulmani di approfondire la conoscenza di Gesù. Tante persone sono alla ricerca”.