Tokyo – Dei 38 Paesi Ocse solo Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone conservano ancora nel loro sistema penale la pena di morte, ma, dei tre, soltanto il Paese del Sol Levante dà luogo ancora oggi ad esecuzioni. L’amministrazione Biden infatti ha deciso la moratoria negli Stati federali dove è, comunque, ancora vigente, mentre la Corea del Sud dal 1997 non effettua più esecuzioni.
Il codice penale nipponico prevede che la pena capitale venga inflitta per impiccagione e l’ultima ha avuto luogo a Tokyo la mattina del 26 luglio 2022. A salire sul patibolo il trentanovenne Tomohiro Kato che, a 25 anni, nel 2008, si macchiò di quello che è considerato uno dei più gravi pluriomicidi compiuti in Giappone in questi ultimi anni, uccidendo sette persone e ferendone altre 10 ad Akihabara, quartiere della Capitale nipponica, noto per lo shopping degli appassionati di prodotti elettronici.
La sentenza di condanna alla pena di morte emessa nel 2011,confermata in appello nel 2012, divenne definitiva con la decisione della Corte Suprema nel 2015 per essere quindi eseguita 7 anni dopo, appunto il 26 luglio 2022, a 14 anni dal crimine. Un lasso di tempo piuttosto lungo se si considera che la legge penale nipponica stabilisce un periodo massimo di sei mesi tra sentenza definitiva ed esecuzione ma che il potere discrezionale dei ministri della Giustizia a cui compete l’emanazione dell’ordine di esecuzione ha dilatato fino ad una media di 8/10 anni. Il numero totale di giustiziati tra il 2020 e il 26 luglio 2022 è stato di 98 e l’esecuzione del giovane Tomohiro Kato è stata la seconda durante il Governo Kishida.
La precedente, eseguita nel dicembre 2021 nei confronti di tre condannati, interrompeva un periodo di due anni di “esecuzioni zero”. Attualmente, i detenuti nel braccio della morte dei 7 Istituti speciali di detenzione sparsi su tutto il territorio giapponese sono 107.“La pena di morte è inevitabile e la sua abolizione è improponibile perché sono ancora troppi i crimini efferati commessi”, è quanto dichiarava ai giornalisti, poco prima di lasciare il suo incarico a seguito del rimpasto di governo deciso ad agosto dal premier Kishida, il ministro della Giustizia Sadahisa Furukawa durante la conferenza stampa tenuta proprio la mattina del 26 luglio, con la quale annunciava ufficialmente l’avvenuta esecuzione del giovane Tomohiro Kato.
Sulla “inevitabilità” della pena di morte si è espressa anche la maggioranza dei giapponesi che nel 2019, nel sondaggio sulla pena capitale che gli Uffici governativi svolgono ogni cinque anni, per l’80,3% si sono espressi in tal senso mentre solo il 9,7% si è detto favorevole alla sua abolizione. Il 40% del campione che considera la pena di morte inevitabile ha tuttavia manifestato la disponibilità a mutare la propria posizione in futuro in presenza di significativi cambiamenti.
In due documenti del Comitato Giustizia e Pace della Conferenza episcopale giapponese (Cbcj) pubblicati a luglio ed ottobre 2022 ed indirizzati alle autorità governative, i vescovi nipponici hanno espresso la posizione della comunità cattolica in merito alla esecuzione di Kato ed alla pena di morte. “Siamo profondamente addolorati e protestiamo con forza contro l’esecuzione di Tomohiro Kato, perché a 39 anni la sua preziosa vita è stata portata via dalla mano dello Stato”, si legge nella “Dichiarazione di protesta contro l’esecuzione del 26 luglio 2022” che prosegue:“La Chiesa cattolica crede fermamente, alla luce del Vangelo rivelato da Gesù Cristo, che la vita di ogni persona è preziosa e che la sua dignità, indipendentemente dalla gravità dei peccati commessi, non viene mai meno”. Il documento firmato dal vescovo Wayne Francis Berndt, presidente del Comitato, ha sottolineato come oggi sia possibile prevenire i reati e garantire la sicurezza sociale con mezzi diversi dalla pena capitale. Ha quindi ricordato che in quanto credenti “teniamo salda la speranza che conduce alla conversione, al perdono ed alla riconciliazione. Crediamo nella possibilità della conversione che per quanto difficile possa essere, non è mai impossibile”.Il secondo documento è un appello pubblicato l’11 ottobre in occasione della 20ª Giornata mondiale per l’abolizione della pena di morte con il quale il Comitato Giustizia e Pace, invitando il nuovo ministro della Giustizia Yasuhiro Harashi a non emettere ordini di esecuzione durante il suo mandato, esorta il Governo a sospendere immediatamente tutte le esecuzioni e ad “adottare misure concrete e risolutive per la ratifica della Convenzione internazionale sull’abolizione della pena di morte.”
Il vescovo Wayne Francis Berndt, assimilando conflitti bellici e condanna a morte, ribadisce nell’appello che “la Chiesa cattolica si oppone fermamente alla guerra e alla pena di morte. Entrambi sono mezzi con cui lo Stato cerca di risolvere i problemi ricorrendo alla brutalità dell’omicidio. Ma strumenti così violenti non realizzeranno mai la vera giustizia e la vera pace che devono essere perseguite esclusivamente attraverso il dialogo e la non violenza”.