“Per il coraggio e l’accuratezza clinica con cui ha svelato le radici, le rimozioni e i limiti collettivi della memoria personale”.
Questa la motivazione del Nobel per la Letteratura 2022 da parte dell’Accademia svedese a Annie Ernaux, che corona così una carriera già riconosciuta a livello internazionale con diversi premi di prestigio. Nata nel 1940 a Lillebonne, in Normandia, si è laureata in lettere e ha intrapreso l’insegnamento in un liceo. Lasciato l’insegnamento, si è poi dedicata quasi esclusivamente alla creazione letteraria. I temi della sua narrativa hanno praticamente attraversato la cultura, anche se sarebbe meglio dire le culture, i costumi, i modi di pensare e di vivere degli ultimi cinquant’anni, con, come ha confessato una volta, una sorta di etnografia di se stessa, vale a dire un racconto delle proprie esperienze, a partire dalle figure dei propri genitori con uno stile apparentemente freddo e distante, che soprattutto nel romanzo del 1988, Passione semplice, è stato assai contestato.
In realtà ciò che colpisce maggiormente della scrittura di Ernaux è il tentativo di navigare a ritroso senza farsi prendere la mano dal sentimentalismo, per tentare la narrazione di una vita in cui dapprima si è tentato il distacco dalla realtà semi-proletaria dei genitori, operai e in seguito commercianti e poi quando quel distacco è stato percepito come tradimento delle radici. L’ingresso nei privilegi borghesi e la formazione di una famiglia sono stati vissuti soprattutto come monotonia e solitudine dovute ad una visione del matrimonio stereotipata, legata a schemi prefissati e classisti.
I temi della sua scrittura sono quelli vissuti in prima persona, l’interruzione di gravidanza (Gli armadi vuoti, 1974), la scomparsa della madre (Una donna, 1988), il noi complessivo dello sguardo sulla storia (Gli anni 2016) ritenuto il suo capolavoro. Tutti sono stati in qualche modo oggettivati in una sorta di “scrittura neutrale”. Nei suoi testi l’attenzione verso la “piccola gente”, condivisa da molti autori non solo francesi del periodo, ma anche i motivi autobiografici tesi a offrire il ritratto oggettivo di un’epoca, che hanno avuto modelli in alcune scrittrici d’oltralpe, come Marguerite Yourcenar e Simone de Beauvoir.
Come loro, il premio Nobel 2022 ha tentato non solo una ricostruzione, ma anche l’escursione nei nodi profondi, abissali che si nascondono dietro la apparente normalità del vissuto. La malattia, di cui lei stessa ha fatto esperienza, la condizione della donna e la sessualità, le radici, sono tra gli elementi costitutivi che fanno il suo stile, se per stile si intende non solo la forma, ma l’incontro tra strutture profonde e scrittura.
Una “archeologia della letteratura” che, come nella lezione di Proust, sarà utile a salvare il senso stesso dell’esistenza, non però proponendo un facile sentimentalismo, ma attraverso lo sguardo lucido di chi ha vissuto e anche elaborato determinate esperienze. Ma soprattutto salvato dall’oblio la memoria dei piccoli, dei poveri, di coloro che altrimenti sarebbero destinati ad affogare, come gli “ultimi” di Verga, nel nulla.