È di nuovo tensione nel Mar del Giappone. Nelle prime ore di oggi Corea del Sud e Stati Uniti hanno lanciato 4 missili terra-terra. Le manovre militari hanno però sfiorato la tragedia. Un missile sudcoreano si è schiantato al suolo a Gangneung, nel nord-est del Paese, gettando nel panico i residenti della città costiera. Sebbene il missile non sia esploso e per fortuna non ci sono stati né morti né feriti, il rumore e il successivo incendio hanno indotto molti a credere che si trattasse di un attacco nordcoreano. Successivamente, lo Stato Maggiore di Seul ha reso noto che si è trattato di un incidente e si è scusato. L’esercitazione congiunta è stata organizzata in risposta al lancio di un missile balistico a raggio intermedio (Irbm) sparato dalla Corea del Nord sul Giappone martedì 4 ottobre, spingendo Tokyo a emettere addirittura allarmi di evacuazione per i residenti. Secondo quanto hanno detto Seoul e Tokyo, il missile ha volato per circa 4.600 km, probabilmente la distanza più lunga in assoluto per un test nordcoreano. Funzionari ed esperti hanno affermato che si tratta probabilmente di un Irbm Hwasong-12, un missile con capacità di gittata che potrebbe raggiungere addirittura le basi statunitensi a Guam. Il test ha scatenato una fortissima reazione internazionale. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il primo ministro giapponese Fumio Kishida hanno criticato il lancio “nei termini più forti” mentre il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol l’ha definita una “provocazione”. Gli Stati Uniti hanno chiesto la convocazione di un incontro urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite oggi.
“Niente di nuovo, era una cosa che ci attendevamo tutti”, esordisce Antonio Fiori che all’Università di Bologna (Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali) insegna relazioni internazionali dell’Asia. Lo studioso fa notare subito che la tensione si è notevolmente alzata in seguito alla ripresa – dopo cinque anni – delle esercitazioni militari congiunte statunitensi e sudcoreane nell’area. Esercitazioni che sono diventate trilaterali e anti-sottomarino, con il coinvolgimento del Giappone. La scorsa settimana, poi, la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris ha visitato Seoul andando anche nella zona demilitarizzata, in un viaggio intrapreso per sottolineare l’impegno Usa nella difesa della Corea del Sud. Tali esercitazioni hanno evidentemente fatto infuriare la Corea del Nord, che le vede come prove per un’invasione. D’altronde sono circa 28.500 i soldati statunitensi di stanza in Corea del Sud.
Se dunque il lancio di Pyongyang è “una risposta prevedibile” ai movimenti militari in zona, secondo il professor Fiori, “il test che è stato effettuato, ci dice una cosa nuova. Normalmente i nord coreani quando lanciano, evitano di sorvolare l’arcipelago giapponese. Questa volta invece il missile ha sorvolato l’arcipelago in maniera completa per inabissarsi nel Pacifico. Questa è una cosa voluta. E il messaggio che ci danno è chiaro: noi nel mirino abbiamo tutto quello che c’è attorno”.
Ma se il messaggio è chiaro, il dialogo tra tutte le parti è inabissato. Kim jong-un impone alle trattative condizioni molto ferme ma gli Usa non hanno nessuna intenzione di ammorbidire le sanzioni se la Corea del Nord non avvia un serio processo di de-nuclearizzazione. “È ovvio – osserva l’esperto – che Stati Uniti, Corea del sud e Giappone devono dare una risposta alle provocazioni nordcoreane ma è anche vero che le provocazioni della Corea del Nord non si fermeranno qui. Ce ne saranno altre. E forse più pericolose”. “Sono mesi che noi studiosi stiamo guardando ai movimenti dei test nucleari e siamo in grado di dire che a Pyongyang sono pronti per un settimo test. Lo faranno. Tutto sta vedere quando”, avverte Fiori. In un contesto di dialogo congelato e di tensione militare, l’unica via praticabile è, per l’esperto, quella di “evitare qualunque forma di rappresaglia. La Corea del Nord non ha mire attive e quello che fa, lo fa per dare, all’esterno ma anche al suo interno, dimostrazioni di forza. La tensione è meglio abbassarla piuttosto che alzarla. Ci troviamo in un’area già molto sollecitata. Abbiamo visto cosa è successo a Taiwan. Bisogna allora lavorare tutti e a più livelli per l’instaurazione di un dialogo ed una pacificazione piuttosto che invece rinverdire pratiche che nel passato lontano e recente possono portare a perdere il controllo e condurci a situazioni ancora più conflittuali”.