C’è un tempo per ogni cosa, è vero, ma chi ama il Tennis con la maiuscola non avrebbe mai voluto vivere quello del ritiro di Roger Federer dall’agonismo. 41 anni sono tanti per qualsiasi sport, certo, soprattutto per uno individuale e con il tempo divenuto assai fisico e dispendioso come il tennis: 1.500 sfide con Nadal, Djokovic, Agassi, Sampras e altri geni di questo sport sono state usuranti oltre che grondanti stress psichico.
E però ti dispiace che se ne vada uno che dopo le intemperanze giovanili, quando distruggeva le sue racchette al primo o secondo errore, è divenuto
il simbolo della perfezione tecnica e gestuale. E della correttezza, in campo e fuori.
E fa un certo effetto scrivere la parola “errore” parlando del campione svizzero, che è stato forse il più grande tennista di tutti i tempi, anche se terzo dopo Nadal e Djokovic nelle vittorie del Grande Slam (i tornei più importanti del pianeta, ne ha vinti 20): dotato di tutti i colpi, dal piatto puro alle rotazioni – pensate che dopo Nadal è il tennista che imprime più spin alla pallina, lui praticamente un attaccante –, non parliamo del servizio con il quale spesso risolveva situazioni divenute critiche, insuperabile a rete, grandioso da fondocampo, giocava con i piedi sulle linee di fondo e non sette metri dietro come molti suoi colleghi: praticamente anticipava la palla colpendola appena dopo il rimbalzo. Una naturalezza in tutti i colpi che non ha e forse non avrà eguali.
Ha il record di presenze consecutive, 237 settimane, in vetta alle classifiche mondiali del tennis, ed ha vinto, record assoluto, ben 8 volte sull’erba di Wimbledon. Padre elvetico e mamma sudafricana, sposato con Mirka Vavrinec, anche lei tennista, papà di due coppie di gemelli e promotore di iniziative umanitarie (tra le tante le vittime dello tsunami nell’oceano indiano, i bambini fragili, la lotta all’Aids, il terremoto di Haiti), pian piano
è diventato anche un simbolo di bon ton e di rispetto dell’avversario. Mentre altri hanno ceduto allo spirito del tempo, al culto dell’immagine, alla rissa verbale con arbitri, pubblico, raccattapalle e avversari, King Roger ha parlato attraverso il tennis.
Certo, ricchezza e benessere, in un mondo che piange di miseria e guerra (e che però, come abbiamo visto, non lo lascia indifferente) ma pur sempre un campione anche di controllo di sé e non solo di tecnica, il che, in tempi di sfide mediatiche, e purtroppo belliche, è un raro insegnamento, da parte di un’icona sportiva, ai giovani: si può diventare un mito planetario con la correttezza e portando a spasso i figli per i parchi pubblici. Come un normale, anonimo, si fa per dire, papà.