Essere un prete in Nigeria oggi fa paura. Non passa giorno senza una notizia di un nuovo rapimento. Gli ultimi due sacerdoti diocesani sono stati rapiti lo scorso 15 luglio nella canonica della parrocchia di Cristo Re a Yadin Garu, nello Stato di Kaduna: padre John Mark Cheitnum è stato ucciso lo stesso giorno del rapimento e il suo corpo è stato ritrovato ieri. L’altro sacerdote, padre Donatus Cleopas, è invece riuscito a sfuggire ai sequestratori.
Padre John Mark Cheitnum era preside del decanato di Kwol, direttore della comunicazione della diocesi di Kafanchan e parroco della chiesa di San Giacomo a Jama’a, nello Stato di Kaduna. I funerali saranno celebrati domani, 21, luglio, alle 10, nella cattedrale di San Pietro Kafanchan. “Mentre chiediamo preghiere per l’eterno riposo del nostro caro fratello prete e la consolazione di Dio per i suoi familiari – dice padre Emmanuel Uchechukwu Okolo, della diocesi di Kafanchan – facciamo un umile appello a tutta la popolazione ad astenersi dal farsi giustizia da sé”. La diocesi ha dichiarato due giorni di lutto cittadino.
Anche un missionario italiano, padre Luigi Brenna, 64 anni, padre somasco, il 3 luglio scorso, nella sua comunità a Ogunwenyi, nello Stato nigeriano di Edo, è stato vittima di un tentativo di rapimento. E’ riuscito a liberarsi da solo quasi miracolosamente dopo essere stato picchiato e aggredito con il machete. Ora sta bene ed è tornato in Italia dai familiari. Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi da Aiuto alla Chiesa che soffre sono stati 18 i sacerdoti rapiti nel 2022 ma in Nigeria si parla di almeno 50 sacerdoti, in maggioranza nigeriani. L’Associazione dei sacerdoti cattolici diocesani nigeriani (Ndcpa) ha diffuso la scorsa settimana un comunicato nel quale afferma che “è davvero triste che nel corso delle loro consuete attività pastorali, i sacerdoti stiano diventando una specie in via di estinzione”. E c’è un sommerso sconosciuto, perché tanti nemmeno denunciano i fatti. A parlare al Sir è padre Tobias Chikezie Ihejirika, confratello di padre Brenna e primo padre somasco di nazionalità nigeriana. I due sono molto legati perché hanno vissuto nella stessa comunità per quattro anni, a Benin city.
“Padre Luigi è stato molto coraggioso perché ha resistito – racconta padre Tobias Chikezie Ihejirika –. Ha detto ai suoi rapitori: ‘Ammazzatemi se volete, ma io non vi seguo’. Siccome non riuscivano a farlo camminare lo hanno picchiato e lasciato in terra pensando fosse morto. E’ stato anche fortunato. E’ un uomo di carità e gioia”.
Maltrattati dai rapitori. Padre Tobias conosce altri quattro sacerdoti che hanno vissuto la terribile esperienza del sequestro, per mano di delinquenti comuni o dei più temuti pastori Fulani, gruppi armati di religione musulmana che cercano pascoli per le loro mucche e si finanziano tramite i rapimenti. “Le persone rapite vengono trattate molto male – riferisce -. Sono costrette a camminare nella foresta ininterrottamente, non si fermano mai.
Dormono all’aperto, ricevono poco cibo, alcuni muoiono perché malate e senza medicinali per curarsi. Qualcuno è stato perfino violentato. Quando la Chiesa o i familiari non pagano il riscatto oppure riconoscono qualcuno dei rapitori vengono uccisi”.
Il padre somasco, originario di Oweri, nell’Imo State, racconta anche un episodio curioso e a lieto fine: “Un mio amico è stato sequestrato da bande locali, che rapiscono anche cittadini comuni. Quando hanno capito che era un prete è stato rilasciato a patto che pregasse per loro. Per cui si è creata una situazione comica in cui lui ha dovuto pregare e chiedere benedizioni in loro favore”.
Si parla di riscatti tra i 5 e i 10 milioni di naire nigeriane (pari 10.000/20.000 euro) ma ultimamente i Fulani chiedono anche di più. Inizialmente la Chiesa nigeriana avevo preso una posizione ferma: non pagava i riscatti, anche perché si trattava di delinquenti comuni. Per un po’ questa strategia ha funzionato. Ora non è più possibile, pena la morte sicura dei rapiti. A pagare sono le diocesi o i familiari. “I sacerdoti sono un bersaglio facile perché presenti in ogni villaggio – osserva padre Tobias -. Vengono visti come persone che vivono con un certo agio economico, automobili di proprietà, per cui pensano sia più facile ottenere il pagamento di un riscatto. Per loro è diventato un vero e proprio business che serve per finanziare l’acquisto di armi. Inoltre c’è anche un elemento di natura religiosa.
Si dice che questi gruppi potrebbero avere contatti con il gruppo jihadista Boko haram, che vedono i preti come un ostacolo all’espansione dell’Islam”.
Il grande problema è l’impunità. Una volta ottenuto il denaro i rapitori fuggono nella foresta e nessuno li cerca. Oppure se catturati fuggono (o vengono fatti fuggire) dal carcere. Secondo padre Tobias “bisognerebbe de-centralizzare le forze di polizia, che ora dipendono dal governo federale. In questo modo la polizia indigena avrebbe modo di proteggere il proprio popolo. In Nigeria vivono 300 tribù ma ancora non si riesce a gestire la diversità, che non viene considerata una ricchezza. Il presidente è un Fulani e non sembra aver preso a cuore il problema. Anche la Conferenza episcopale nigeriana dovrebbe essere più coraggiosa e profetica e meno politicamente corretta”.
Nel frattempo i sacerdoti devono trovare strategie per la sicurezza. “Quando vivevo con padre Luigi andavo nella foresta con il motorino a celebrare battesimi, a pregare con la gente, senza connessione al telefonino – dice padre Tobias -. Ora non è più pensabile. Bisogna stare attenti a dove si va e non uscire mai la notte. Ma soprattutto cercare di conoscere bene le persone che lavorano in parrocchia (a volte danno informazioni ai rapitori), ed avere a disposizione almeno qualche vigilante armato, collaborando con la rete di sicurezza del villaggio, sperando che li proteggano”. “Essere un prete in Nigeria oggi fa paura”, conclude.