(Tokyo) – “Prevediamo di accettare ucraini che abbiano parenti o conoscenti in Giappone, ma andremo oltre e affronteremo la situazione in una prospettiva umanitaria” è quanto dichiarava il premier Fumio Kishida il 2 marzo, a sei giorni dall’invasione russa dell’Ucraina. Da allora e fino a metà maggio sono stati circa 1.000 gli ucraini accolti dal Giappone ed il Governo li ha assistiti occupandosi del loro trasferimento e del loro sostentamento tramite sostegni economici, mentre amministrazioni locali e aziende private hanno collaborato per il reperimento di alloggi, l’inserimento scolastico dei figli delle famiglie evacuate, o l’apprendimento della lingua e l’individuazione di opportunità di lavoro.
Iniziative legislative del Gabinetto Kishida inoltre sono allo studio per la definizione di uno status giuridico speciale di ‘quasi rifugiati’ per gli sfollati ucraini al fine di svincolarli dalle strette maglie procedurali che rendono molto difficile il riconoscimento dello status di “rifugiato” in senso stretto.
Di fronte a questo rinnovato impegno per l’accoglienza, alcuni commentatori hanno fatto notare che è la prima volta che evacuati stranieri vengono accettati così favorevolmente in Giappone che in effetti non può definirsi una società aperta. Questo slancio umanitario verso il popolo ucraino ha riproposto la questione del sistema di accoglienza dei rifugiati in Giappone facendo emergere da un altro lato una disparità di atteggiamento e trattamento rispetto a profughi provenienti da Nazioni diverse dall’Ucraina come, ad esempio il Myanmar.
Anche la Chiesa cattolica del Sol Levante ha espresso la sua posizione in merito attraverso il Messaggio intitolato “Stabilire un sistema di protezione dei rifugiati inclusivo ed equo”. Il documento, pubblicato il 27 maggio sul sito della Conferenza episcopale del Giappone a firma del vescovo di Saitama Mario Michiaki Yamanouchi, presidente del Comitato cattolico per i rifugiati ed i migranti in Giappone, è stato scritto con “l’intento di stimolare una gestione complessiva più equa ed univoca” di un problema che coinvolge tutti i rifugiati presenti nel territorio nipponico.
Prendendo le mosse dalle azioni messe in atto dal Governo, monsignor Yamanouchi scrive “Siamo molto contenti di questo e speriamo che si continui a creare un ambiente in cui i rifugiati ucraini possano vivere in Giappone con tranquillità. – aggiungendo però subito dopo – Non sono tuttavia solo i rifugiati dell’Ucraina ad aver bisogno di assistenza”. Il documento prosegue quindi evidenziando come il Giappone sia “lontano dagli standard internazionali” per quel che concerne il riconoscimento dello status di ‘rifugiato’, lasciando molte persone “in una situazione di precarietà, costrette a vivere nel timore della detenzione o del rimpatrio”.
I dati ufficiali forniti dagli Uffici per l’immigrazione confermano questa realtà. In poco meno di 40 anni, dal 1982 al 2020, degli 85.479 richiedenti lo status di rifugiato, solo 849 lo hanno ottenuto e nel 2020 appena 47 su 3.936. Tra le cause principali di tale situazione la interpretazione restrittiva che l’Agenzia per l’immigrazione giapponese continua a dare all’articolo 1A della Convezione di Ginevra del 1951 che delinea la figura del rifugiato, in riferimento però ad un contesto storico totalmente diverso dall’attuale. Il messaggio del Comitato cattolico per i rifugiati dopo aver ricordato le parole che Papa Francesco rivolse ai giovani nel novembre del 2019, in occasione del suo viaggio in Giappone, con le quali chiese loro “di stendere le braccia dell’amicizia e di accogliere quelli che vengono, spesso dopo grandi sofferenze, a cercare rifugio nel vostro Paese” si conclude lanciando un appello alle autorità: “Cogliamo l’occasione dell’accoglienza dei rifugiati ucraini – scrive ancora il presidente, mons.Yamanouchi – per auspicare e chiedere con forza l’istituzione di un sistema di protezione dei rifugiati adeguato e compiuto, che possa accogliere tutti coloro che hanno bisogno di aiuto.”