(da Gerusalemme) Una “narrativa cristiana” su Gerusalemme per ribadire il diritto di cittadinanza della comunità cristiana: a rivendicarla è il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, in una intervista rilasciata al Sir a margine dell’incontro tenutosi ieri, nella città santa, con i vescovi dell’Holy Land Coordination (Hlc) che, nella serata di sabato 21 maggio, hanno dato avvio alla loro annuale visita di solidarietà (spostata da gennaio a maggio a causa della pandemia). Tema dell’Hlc 2022 è “Jerusalem, locus of the soul – A mother who educates and makes us grow” (“Gerusalemme, luogo dell’anima – Una madre che ci educa e ci fa crescere”.)
Una nuova narrativa. “Quello di Gerusalemme – spiega al Sir il patriarca – è un tema sensibile qui in Terra Santa. Da un punto di vista politico se ne sente parlare molto. Meno conosciuta invece è la narrativa cristiana sulla Città santa. Come cristiani abbiamo il diritto di parlare di Gerusalemme”. “Non si tratta di fare nuove crociate – precisa – ma di comprendere che Gerusalemme non è affare solo di israeliani e palestinesi. Gerusalemme è ritenuta capitale delle tre religioni monoteiste, Cristianesimo, Ebraismo e Islam, ed è strettamente connessa all’identità di queste tre fedi. Per questo motivo è importante parlare di Gerusalemme anche da una prospettiva cristiana, senza preclusione per la visione ebraica e quella islamica”. Rispetto a queste ultime due, “la narrativa cristiana appare la più debole” e questa debolezza risiede non tanto nei numeri dei cristiani, una minoranza oramai, quanto nel fatto che “per un cristiano dovrebbe essere chiara l’importanza di Gerusalemme, ma purtroppo non sempre lo è”. Insomma, si tratta di una “identità da rafforzare”. “Se si guarda solo ai numeri – ribadisce il patriarca latino – è chiaro che i cristiani, essendo una piccola minoranza, non hanno nulla da dire.
Ma la presenza e l’identità cristiana – avverte – non possono essere circoscritte dai numeri. Esse sono legate intimamente alla storia.
Il Cristianesimo è una religione rivelata e non c’è rivelazione senza il luogo. Il legame con il luogo è determinante per la vita cristiana. Gerusalemme è l’immagine della vita della Chiesa. La vita della Chiesa di Gerusalemme è un modello di riferimento e una vocazione”.
Gerusalemme al centro. Ma non sempre è così, “almeno nel mondo cattolico” riconosce Pizzaballa che riporta l’esempio del “mondo ortodosso” dove questo concetto di centralità “è molto chiaro: gli Ortodossi non celebrano la Pasqua senza Gerusalemme. Basti pensare al rito del “Fuoco Santo”, (quando il Sabato santo, pellegrini e fedeli ortodossi attendono il miracolo della venuta del Fuoco Santo dal cielo al Santo Sepolcro, ndr.). Il mondo cattolico è più concentrato su Roma, ovviamente. Ogni chiesa cristiana ha il suo centro, ma il cuore che appartiene a tutti è Gerusalemme e a Gerusalemme”. Non si tratta di essere ‘romanocentrici’ o ‘gerusalemmecentrici’, rimarca il patriarca latino, “perché
Gerusalemme ha bisogno di Pietro, non si può essere Chiesa senza Pietro.
E Pietro viene da Gerusalemme: questi sono due aspetti che devono essere tenuti sempre presenti. La Chiesa non è solo europea ma universale e bisogna trovare un linguaggio che sia comune e condiviso da tutti. Nessuno può arguire su Gerusalemme”.
Identità religiosa e politica. Esiste anche un tema politico presente sia nella narrativa israeliana che in quella palestinese che va affrontato: “è il tema della terra. Ma non si può limitare il discorso di Gerusalemme al conflitto israelo-palestinese. È ben noto che qui in Terra Santa le politiche su Gerusalemme sono espressione di una visione religiosa e non il contrario. Gerusalemme non è solo una questione di confini tra due Stati, Israele e Palestina, ma è di più: è una questione di identità religiosa, dove le tre fedi abramitiche hanno uguale cittadinanza. Ne deriva, per Pizzaballa, la necessità di avere “una narrativa cristiana su Gerusalemme oltre a quella ebraica e islamica, sostenuta da un discorso sistematico, preciso e non vago, basato sulle Scritture. Il linguaggio cristiano -ammette il patriarca – spesso non viene compreso da ebrei e musulmani. Così se vogliamo avere cittadinanza in Gerusalemme dobbiamo costruirne le basi da un punto di vista religioso senza restare fermi alle emozioni, alle devozioni, alle intenzioni e alle belle frasi comprensibili forse solo da noi ma non dagli altri. Dobbiamo ribadire che a Gerusalemme abbiamo le nostre radici perché qui siamo nati”.