(da New York) – Manifestazioni per le strade delle maggiori città statunitensi, comunicati ufficiali di politici e giuristi, dichiarazioni del presidente Joe Biden, rosari e picchetti attorno alla sede della Corte Suprema, raffica di commenti sui principali media e sui social. La pubblicazione della bozza di un parere del maggiore organo giudiziario del Paese sulla controversa questione dell’aborto ha infiammato l’America.
Lunedì il sito di notizie “Politico” ha messo online una bozza di parere, scritta dal giudice della Corte Samuel Alito, dove si affermava che la sentenza Roe v. Wade emanata nel 1973, rendendo l’aborto legale per quasi 50 anni, “era estremamente sbagliata fin dall’inizio”. Il giudice nella sua bozza, presa poi in esame dai colleghi sosteneva che la decisione della Corte nel 1973 aveva seguito un ragionamento eccezionalmente debole “e aveva avuto conseguenze dannose. E lungi dal portare a una soluzione nazionale della questione dell’aborto, Roe e Casey hanno infiammato il dibattito e approfondito la divisione”. Casey è un’altra sentenza del 1992 che ha rafforzato la legalizzazione dell’aborto. Alito conclude la sua opinione dicendo che sia “Roe che Casey devono essere annullate” e che le politiche sull’aborto dovrebbero essere determinate a livello statale.
La fuga di notizie su un tema estremamente divisivo per gli Usa non solo ha scatenato un nuovo dibattito sull’aborto, sulla privacy, sul matrimonio, anche tra persone dello stesso sesso, ma ha violato uno dei luoghi sacri dell’impianto democratico statunitense: la Corte. Mai fino ad oggi era trapelato il modello di lavoro messo in atto dai giudici, i procedimenti adottati, i pareri espressi. Una talpa dentro il supremo organo giudiziario Usa, significa “una singolare ed eclatante violazione di quella fiducia tra personale e giudici ed è un affronto alla Corte e alla comunità dei dipendenti pubblici che lavorano qui”, ha detto il presidente della Corte, John Roberts, annunciando l’apertura di un’inchiesta sulla fuga di notizie e chiarendo che il documento non esprime la decisione finale dei giudici.
La bozza di 98 pagine, con un’appendice di 31 pagine di leggi storiche sull’aborto, apparsa su “Politico” è nata da un caso concreto, Dobbs v. Jackson Women’s health organization, dove si contestava il divieto di aborti legiferato dal Mississippi, che proibisce gli aborti dopo 15 settimane di gravidanza. La norma è stata cancellata da un tribunale distrettuale federale nel Mississippi nel 2018 e confermata un anno dopo da una Corte d’Appello. La Corte Suprema ha costantemente stabilito che gli Stati non possono limitare l’aborto prima di 24 settimane o quando si dice che un feto sia in grado di sopravvivere da solo, ma il caso del Mississippi ha segnato una sfida a quanto deciso fino ad oggi. Rovesciare la sentenza Roe v. Wade non segnerà la fine dell’aborto in America, ma riporterà la questione agli Stati che già stanno legiferando in maniera autonoma a riguardo,liberi dalla sentenza del 1973, considerata da molti di loro un’usurpazione del dibattito morale e politico che spetta ai cittadini.
Se la prospettiva di ribaltare Roe v. Wade ha unificato i movimenti pro-life e creato la tenda di notevoli tensioni politiche e partigianerie,la possibilità che questo accada realmente implica che la battaglia per la vita non si esaurisca con una nuova sentenza dei giudici, ma apra il percorso ad una protezione sociale praticamente inesistente per le madri e per i genitori. “È scioccante e vergognoso leggere storie di madri negli Stati Uniti che partoriscono i loro bambini ed escono entro 48 ore per consegnare pizze o guidare Uber, solo per mantenere la possibilità di un pasto sulla tavola della loro famiglia”, denuncia America, il mensile dei Gesuiti, aggiungendo che tra il 2019 e il 2020 il tasso di mortalità materna negli Stati Uniti è aumentato di quasi il 20%, perché non è stabilita “una rete di protezione sociale” e manca un’educazione alla vocazione della vita.
“Non possiamo comprare buone madri perché la maternità ha dimensioni morali e spirituali che nessun programma sociale può raggiungere”, insiste l’editoriale dei gesuiti.
Charles Camosi, professore di teologia e etica sociale all’università cattolica di Fordham, mette in guardia dal rischio che una talpa possa minare lo stato di diritto e spingere ad una riforma più emotiva che di garanzia costituzionale. Camosi, statistiche alla mano, ha dimostrato più volte quanto i sostenitori del movimento pro-life e dei pro-choice siano vicini. “Sei americani su dieci concordano sul fatto che l’aborto dovrebbe essere ampiamente legale prima della dodicesima settimana. La maggior parte (circa 7 su 10) pensa che l’aborto dovrebbe essere ampiamente illegale dopo la dodicesima settimana”, spiega Camosi, sottolineando che “c’è un terreno comune su cui lavorare, tenendo anche conto che ampie maggioranze, in tutto lo spettro politico, concordano sul fatto che dovremmo espandere la rete di sicurezza sociale degli Stati Uniti per sostenere le donne che vogliono mantenere i propri figli”.
Uno dei cambiamenti più sorprendenti nel dibattito politico odierno, secondo il docente è che “anche i conservatori comincino a parlare di congedo familiare retribuito, aiuto per l’assistenza all’infanzia, aumento del salario minimo , crediti d’imposta per le famiglie numerose: temi riconducibili allo spettro democratico”.
Camosi chiama in campo le istituzioni religiose, che, in questo momento “sono in una posizione unica per aiutare ad abbassare i toni” e contrariamente all’opinione popolare, potrebbero “fungere da forza moderatrice nella politica statunitense”. Secondo Camosi proprio le istituzioni religiose dovrebbero “dimostrare che non c’è contraddizione intrinseca tra il sostegno ai bambini non nati e quello alle loro madri e che chi si identifica come pro-life e chi come pro-choice possono cooperare nel sostenere le donne nel desiderio di mantenere e proteggere i propri figli”.