(da New York) – Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, Mariia, originaria di Kiev, si preparava al torneo di tennis che la California State University, dove si era immatricolata, si preparava a giocare con l’Università delle Hawaii. È stato un messaggio su Telegram, inviatogli dalla madre, ancora sveglia ad un’ora impossibile a svelarle l’amara verità: l’assalto della Russia al suo Paese era cominciato. Con lei l’hanno scoperto anche gli altri 1739 studenti ucraini che si trovano negli Stati Uniti per una laurea, un master, un dottorato. Sono stati i social il primo canale da cui hanno appreso di essere in guerra. E con loro lo hanno saputo i college, le università di California, Massachusetts, Florida, Illinois, Texas e New York, dove stanno studiando o ultimando le loro ricerche. Le manifestazioni pubbliche all’interno dei campus sono stati i primi gesti di solidarietà concreta dimostrata dagli altri studenti e dai docenti, seguiti da raccolte fondi e da consulenze di tutti i tipi per consentire a questi giovani ucraini di continuare a pensare al futuro nonostante il conflitto.
L’università di Chicago, consapevole che per tanti studenti sfollati dalle principali città ucraine si era interrotta anche la possibilità di una carriera, si è prodigata per espandere le possibilità di ammissione e il supporto finanziario a chi, colpito dalla guerra, sta valutando la rinuncia ai corsi d’oltreoceano. “L’invasione dell’Ucraina e la devastante crisi umanitaria che si sta svolgendo ha molte dimensioni, inclusa l’interruzione delle vite e delle carriere di studiosi e studenti che hanno il potenziale per contribuire a nuove conoscenze a beneficio dell’umanità”, ha dichiarato il presidente dell’ateneo di Chicago, Paul Alivisato, motivando il suo piano di accoglienza.
Anche l’università di Princeton si è offerta di sponsorizzare studiosi ucraini e russi costretti a fuggire a motivo della guerra.
Due matricole dell’Università di Harvard hanno escogitato un modo creativo per aiutare i rifugiati: un sito web chiamato ukrainetakeshelter.com che collega gli sfollati alle persone disposte a concedere un alloggio temporaneo.
Mariia, che tra qualche settimana sarebbe dovuta tornare in patria resterà nel campus anche in estate, grazie ad una speciale borsa di studio e al supporto dei suoi docenti.
Entrare e restare negli Stati Uniti è la speranza degli oltre 2.000 ucraini giunti al confine con il Messico che attendono di fare ingresso negli Usa e raggiungere i familiari, che si sono offerti di ospitarli. Sulla scia della promessa del presidente Biden di accogliere 100.000 ucraini, in tanti si sono imbarcati dalla Romania e dalla Moldavia per raggiungere il confine Sud degli States. Qualcuno ha viaggiato anche dalla Spagna per raggiungere il Messico. In tanti hanno tentato le vie legali, ma le ambasciate americane non hanno ricevuto un piano di ammissione dettagliato dopo la promessa del presidente, così hanno rifiutato le richieste di visto turistico costringendo famiglie, giovani, mamme con bambini a tentare l’attraversamento dai valichi messicani. Tijuana è la città di confine che sta fronteggiando la sfida di aver visto arrivare in meno di dieci giorni 500 ucraini. Ha trasformato una palestra in dormitorio, ma non è sufficiente all’emergenza. Vari statunitensi di lingua russa si sono prodigati e si stanno prodigando per offrire cibo, coperte, materassini da una parte all’altra del confine. Tra di loro ci sono impiegati, agenti immobiliari, manager che hanno lasciato il lavoro per dieci giorni e qualcuno anche per un mese pur di soccorrere i fuggitivi.
Gli accampamenti improvvisati con la bandiera gialla e blu si affiancano a quelli di haitiani, honduregni, cubani. Questi ultimi, secondo gli agenti di frontiera stanno arrivando in numeri che non si vedevano da quasi tre decenni. Lo stesso per i nicaraguensi: oltre 50.000 hanno provato ad attraversare la frontiera nel 2021, rispetto ai circa 2.300 del 2020, mentre il presidente Daniel Ortega continua la sua opera di repressione.
La crisi umanitaria rischia ora di trasferirsi da questa parte del mondo, aggiungendo una sorta di concorrenza tra disperati.
Gli ucraini, pur dormendo sulle sedie o su materassini di fortuna, ricevono panini e biscotti e in tre giorni circa riescono ad arrivare ai check-point.
Lena, una psicologa fuggita da Chernivtsi, città nel sud-ovest dell’Ucraina, con il figlio di 3 anni, dopo un viaggio di 40 ore da Bucarest a Tijuana, ha ricevuto il numero di accesso 920 e si dirigerà in Oregon dove ad attenderla ci sono degli amici. Attraversata la barriera di filo spinato i due sono stati fotografati, sono state prese loro le impronte digitali e, sui passaporti, un timbro con la scadenza 3 aprile 2023 ricorda che gli è concesso un anno per regolarizzare la loro posizione. Non sono i soli in questa condizione: ci sono due sorelle fuggite da un sobborgo di Kiev che dopo dieci giorni con poco cibo e quasi senza acqua, sono state convinte dai genitori a tentare il viaggio negli States. Non sarebbero mai volute partire, ma al momento non si prospettano altre soluzioni. Il loro numero d’ingresso è 1.201. Dall’altra parte della barriera li attendono i furgoni della Calvary San Diego, una chiesa ortodossa evangelica che ha sede nella vicina Chula Vista, in California. I fedeli si sono mobilitati per assistere gli ucraini. Sui banchi del santuario ne dormono tanti, soprattutto uomini. Le donne e i bambini riposano su materassini gonfiabili in attesa che nuovi volontari li aiutino ad organizzare il viaggio verso la loro destinazione finale.