In Etiopia, nella contesa regione occidentale del Tigray, si sta consumando una drammatica crisi umanitaria. A fine marzo è stata annunciata una tregua tra il governo etiope e i ribelli affiliati al Fronte popolare di liberazione del Tigray – che combattono dal novembre 2020 – ma una terribile carestia, e la difficoltà di accesso degli aiuti umanitari, sta affamando milioni di persone. Uno studio dell’università belga di Ghent realizzato a metà marzo ha stimato un possibile scenario di 500.000 di morti a causa della guerra, di cui 150/200.000 per fame o mancanza di cure mediche. Nei giorni scorsi a lanciare un disperato appello è stato il vescovo dell’Eparchia di Adigrat, Abune Tesfaselassie Medhin, l’unica diocesi presente nel Tigray, dove la Chiesa cattolica è minoranza. Qui la popolazione è principalmente ortodossa, con una piccola presenza di musulmani. Il vescovo è costretto a vedere ogni giorno donne, uomini e bambini che stanno letteralmente morendo di fame. Perciò ha lanciato l’allarme: gli ospedali e le scuole sono distrutte (1 milione e 700.000 bambini non hanno accesso all’istruzione), mancano cibo, medicine, elettricità e comunicazioni, gli stipendi sono sospesi, le banche chiuse e non si può circolare da e verso il Tigray. I crimini brutali proseguono. Il 3 marzo ad Ayisid Kebele 11 persone, tra cui 9 tigrini, sono stati bruciati vivi. Un recente rapporto di Amnesty international e Human rights watch afferma che i civili tigrini sono stati presi di mira in “un’implacabile campagna di pulizia etnica” con massacri, esecuzioni extragiudiziali, violenze sessuali e arresti arbitrari da parte delle forze governative, delle milizie alleate e delle forze armate eritree alleate con l’Etiopia. La tregua dovrebbe consentire proprio l’accesso degli aiuti umanitari, bloccati o intercettati, ma la sensazione di alcuni osservatori è che il governo centrale abbia interesse a mantenere questa situazione di assedio.
Riescono ad arrivare solo il 10/15% degli aiuti necessari. L’Ocha, l’agenzia Onu per il coordinamento degli affari umanitari, annuncia nel suo ultimo report di essere riuscita ad inviare via terra, ad inizio aprile, un convoglio di 20 camion con cibo, forniture supplementari e rifornimento di carburante per 73.000 persone. E’ la prima volta da dicembre ad oggi. Altri aiuti, pari a 11 camion, sono stati inviati via aerea da Addis Abeba a Makallé. Sono 5,2 milioni le persone che avrebbero bisogno di ricevere beni alimentari ogni 6 mesi ma le agenzie Onu sono riusciti a raggiungerne solo 1,2 milioni. Almeno 3,9 milioni di persone hanno bisogno di cure mediche. Dall’inizio del conflitto il numero dei tigrini sfollati è di 1,2 milioni di persone.
“La popolazione in Tigray è disperata a causa dell’isolamento – spiega al Sir don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, in costante contatto con la Chiesa locale -. Anche se c’è la tregua e non si spara si usa la fame come arma di guerra”. Interi carichi di aiuti umanitari spariscono nel nulla. Perfino nella comunità cattolica di Adigrat, dove sono presenti molte comunità di religiose e sacerdoti, le risorse scarseggiano. “Il vescovo si sente abbandonato e lasciato solo perché si ha paura di esporsi – confida don Zerai -. Ma la gente continua a soffrire e morire”. “Anche i presidi sanitari della Chiesa cattolica sono stati distrutti – prosegue -, la gente muore per motivi banali, perché non può ricevere l’insulina per il diabete o perché non può curare il Covid-19 per la mancanza di respiratori e ospedali. Tante persone sono ridotte a pelle e ossa per la fame”.
Con 1,7 milioni di bambini che non possono andare a scuola, prosegue, “a livello di istruzione si è tornati indietro di 30 anni”. Dopo 17 mesi di “guerra, distruzione e devastazione umana, violenze e abusi su donne e bambini
sarebbe da istituire un Tribunale internazionale per verificare i crimini di guerra”,
auspica il sacerdote. Il conflitto e la carestia, dopo i raccolti devastati dalle locuste e la siccità, sono arrivati anche nelle zone Amhara e Afar, verso sud, al confine con il Kenya. “Il governo centrale – spiega – sta tentando di eliminare un altro gruppo armato di etnia Oromo che si era alleato con i tigrini del nord”.
Come in tutti i conflitti ci sono interessi geopolitici stranieri. “L’Egitto vuole indebolire l’Etiopia per la questione della diga sul Nilo – dice il presidente dell’agenzia Habeshia -. L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, la Turchia appoggiano il governo etiope, gli Usa i tigrini. Si accavallano diversi interessi per l’egemonia regionale e il controllo del Mar Rosso, dove passa il 70% del commercio mondiale”.
Gli aiuti umanitari di Caritas italiana. Conferma il grave problema dell’accesso degli aiuti umanitari nella regione del Tigray Fabrizio Cavalletti, responsabile dell’ufficio Africa di Caritas italiana. L’organismo pastorale della Cei, tramite l’otto per mille, ha destinato lo scorso anno 500.000 euro per un programma di aiuti d’emergenza all’Etiopia, in particolare al Tigray. Gli interventi, realizzati tramite Caritas Etiopia, si sono concentrati nella risposta ai bisogni essenziali con la fornitura di beni di prima necessità, ripristino delle attività produttive (sementi, attrezzi, ecc.), salute, acqua e igiene. E’ stato supportato parzialmente, a causa delle difficoltà logistiche, un programma di Medici con l’Africa-Cuamm per il sostegno a 7 centri sanitari, 6 nel Tigray e 1 nella regione di Amhara per la fornitura di assistenza medica d’urgenza.
“È una guerra dimenticata che nessuno riesce a documentare e non si capisce dove stia la verità
– afferma Cavalletti -. L’enorme carestia è dovuta al conflitto e all’embargo totale sia nell’accesso alle merci sia nel trasferimento dei fondi. I beni, il cibo e le forniture mediche arrivano con il contagocce ma non è chiaro di chi siano le responsabilità, se del governo centrale o dei ribelli. Sembra più una sorta di assedio governativo per affamare la gente, ma c’è un rimpallo di responsabilità.
Ma che la gente stia morendo di fame purtroppo è sicuro”.